Vanna Iori

Su Huffington Post: “Cogne, 15 anni dopo. Le ombre del cuore nelle madri-assassine”

Su Huffington Post: “Cogne, 15 anni dopo. Le ombre del cuore nelle madri-assassine”
03/02/2017 | Categorie: Genitorialità, Huffington Post, Media Press


Il mio nuovo articolo pubblicato oggi, venerdì 3 febbraio 2017, sul mio blog sull’Huffington Post Italia.

 

“Mio figlio ha vomitato sangue, venga subito”. Una telefonata al 118, la corsa disperata dei soccorsi, un bambino di tre anni di nome Samuele che morirà poco più di un’ora dopo. Frammenti di una vicenda, quella del delitto di Cogne, che ha 15 anni esatti.

La voce concitata di una giovane madre di 30 anni, Annamaria Franzoni, ritenuta colpevole, ha dato il “la” a una storia che ha diviso il Paese in due, tra innocentisti e colpevolisti, e che ha riempito non solo la cronaca nera di giornali e tv, ma ha segnato uno spartiacque nell’immaginario collettivo sul rapporto tra una madre e un figlio, tra l’altro di pochi anni.

Sì, Cogne è stato anche questo: ha scoperchiato la parte in ombra della maternità e ha spiazzato di chi pensa che questo rapporto sia sempre perfetto, unico, senza ambiguità. Stupore, indignazione, ma anche pietà.

L’Italia si è interrogata su temi che molto spesso vengono sottaciuti, quelli della donna che diventa madre, della difficoltà di gestire il complesso fenomeno della nascita, che non è soltanto un fenomeno “naturale”, ma è al contrario un’esperienza che non sempre viene vissuta in modo sano e positivo.

Non che la storia degli infanticidi sia iniziata con il delitto di Cogne. Le origini di questo fenomeno affondano le proprie radici nel mito stesso e nell’antica tragedia greca. Basti pensare a Medea, mossa dentro di sé da due volontà contrastanti: uccidere i figli e amarli.

Cogne, però, è forse un unicum nella più recente storia moderna perché l’efferatezza del delitto, i suoi tratti distintivi (dal mestolo di rame al pigiama), hanno inferto un colpo durissimo alla visione idilliaca della famiglia che vive nella villetta in un piccolo centro, dove tutto scorre felice e tranquillo.

L’atrocità di quel delitto ha cozzato proprio con quell’atmosfera pacata, con le frasi comuni dei vicini e dei conoscenti che solitamente affermano “li conoscevo, erano brave persone, tranquille, non pensavo fossero capaci di fare questo”. Questo unicum si è poi intersecato con tante altre sfaccettature, ma tutte riassumibili forse in unico grande contenitore: il significato della nascita e il ruolo che essa ricopre nella vita di una donna e di una famiglia.

Meglio ancora: come una nascita può trasformarsi da “lieto evento” a tragedia, a volontà di annullare il frutto del concepimento, cioè il proprio figlio. La maternità è desiderata ma anche temuta e densa di preoccupazioni. Non a caso in molte raffigurazioni pittoriche l’Annunciazione raffigura un Angelo accolto dalla Vergine con posture e sguardi che indicano pudore, ritrosia, imbarazzo e persino paura e angoscia (da Simone Martini a Beato Angelico a Botticelli, fino a Tanner o a Rossetti).

Sentimenti ambivalenti nei confronti della procreazione continuano ad accompagnare i vissuti materni, poiché il parto è un’esperienza al tempo stesso intensa e complessa, dominata da violente e contrastanti passioni: la speranza e la paura, l’amore e l’aggressività. Benché esse compaiano nel corso di ogni nascita, la loro manifestazione dipende da tanti fattori.

Sulla nascita, sul suo significato e sul suo sviluppo bisogna dunque soffermarsi. Il venire al mondo (e il mettere al mondo) irrompe nell’ordinario dei giorni, modificando per sempre la fisionomia delle relazioni e delle biografie personali. Il corso della vita viene scandito da un “prima” e un “dopo”: l’ingresso nella genitorialità è una svolta irreversibile.

La maternità è oggi, per le nuove generazioni di donne, privata del tradizionale sostegno dell’esperienza femminile e nell’ospedalizzazione sono predominanti la figura del medico e le regole della struttura sanitaria. Le competenze sanitarie nell’ospedalizzazione del parto non bastano a fornire risposte ai sentimenti di paura, solitudine, inidoneità, depressione che in molti casi portano al maternity blues, ma che sono presenti in modo più o meno larvato in ogni maternità.

I ritmi di vita sempre più frenetici rendono difficile affrontare la prima esperienza di maternità (e paternità), anche perché mancano occasioni di confronto e scambi di esperienze tra neo-genitori, chiacchierate spontanee, incontri nei cortili o nei parchi di quartiere. Una componente della depressione post partum ha origine da questa solitudine e dai vissuti di smarrimento e insicurezza educativa, anche in merito alle questioni più semplici: organizzare la quotidianità, gestire il pasto, il sonno, il pianto, i capricci, le regole.

Queste trasformazioni possono fare emergere disagi relazionali nuovi o rimasti latenti, laddove il rapporto di coppia è fragile e impreparato. Padri e madri esprimono oggi i vissuti che accompa­gnano la nascita dei figli in modi alquanto diversi dal passato. Spesso le giovani coppie si sentono impreparate e sono bisognose di sostegno per affrontare questo primo momento di assunzione di una responsabilità irrevocabile.

La condizione genitoriale può rivestire un carattere trasformativo di crescita nella vita di coppia che sa accogliere il figlio come un arricchimento della precedente relazione. Ma le reciprocità non sono sempre scevre da ambigui legami simbiotici o da inconsci rifiuti. Cogne si inserisce in questa cornice.

E 15 anni dopo, forse, si ha maggiore consapevolezza del rischio delle madri-assassine perché, semplicemente, si inizia a comprendere cosa si muove dietro quei gesti efferati. Il rischio che le penombre della maternità si trasformino in ombre oscure, inquietudini profonde, turbamenti angosciosi che troppo spesso non trovano nessuno a cui essere confidati, nessuno su cui contare per alleviare questo peso che rimane chiuso nel cuore.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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