Vanna Iori

Sull’Huffington Post: “La vendetta dei figli per la fallita integrazione dei padri”

Sull’Huffington Post: “La vendetta dei figli per la fallita integrazione dei padri”
24/03/2016 | Categorie: Huffington Post, Media Press


Il mio nuovo articolo uscito oggi, giovedì 24 marzo 2016, sull’Huffington Post.

 

È stata soprannominata la generazione Bataclan: quella che ha conosciuto la ferocia del terrorismo a Parigi e che oggi, dopo gli attentati a Bruxelles, si trova a dover fare i conti con un nuovo attacco al cuore dell’Europa. Smarrita, attonita, coraggiosa eppure necessariamente inerme di fronte alla barbarie e alla violenza.

L’altra faccia di questa generazione è fatta da ragazzi e ragazze che hanno scelto la strada della morte e del suicidio, dell’annientamento della vita proprio durante quella giovinezza che dovrebbe costituire invece il momento più gioioso e denso di futuro. Salah, i foreign fighters, gli arruolati dell’Isis: i loro volti segnano questa generazione e, allo stesso tempo, decretano l’insuccesso di quel processo d’integrazione concepito dai loro padri e dalle loro madri.

È bene soffermarsi su questo punto perché è proprio nella mancata integrazione che va individuato l’humus nel quale si alimenta la rabbia dei tanti giovani che oggi scelgono di sposare la causa del terrorismo. I legami con la cultura d’origine e la progettualità si differenziano.

Tra i genitori di questi ragazzi, arrivati dai loro Paesi d’origine, e i ragazzi stessi, nati già in Europa, c’è una cesura profondissima e certamente non ricucibile a breve. Il corso di vita dei primi è segnato dall’attraversamento di due mondi tramite una frattura con le relazioni culturali ed affettive che hanno accompagnato la loro crescita. Il progetto di vita che ha sostenuto i genitori è stato quello di costruire un futuro migliore per sé e per i propri figli.

L’apprendimento di una nuova socializzazione avvenuta in età adulta, attraverso le fasi di una progressiva, e talvolta dolorosa, integrazione che ha comporta cambiamento di luoghi, relazioni, codici culturali e linguistici. Accumulando tanta frustrazione. I figli sono i “fruitori” di questa scelta di passaggio effettuata dai loro genitori, con aspettative di integrazione che hanno visto fallire nell’esperienza dei genitori.

È evidente che questa “fruizione” è andata male. I figli hanno vissuto fin da piccoli l’insuccesso dei loro genitori. Non scopriamo di certo oggi la condizione delle banlieue francesi, messe a ferro e fuoco nel 2005: in quell’emarginazione e in quei quartieri-ghetto c’erano i germi di un disagio che oggi è esploso e si è fatto veicolo di morte, paura, distruzione. Cosa spinge un ragazzo a voler sacrificare la propria vita? A che punto è arrivato il disagio di quei giovani che trovano la lucidità di attivare un detonatore e, ancora prima, di pianificare progetti di morte?

Le risposte a questi quesiti sono tutt’altro che scontate, occorre interrogarsi. Perché la risposta non è più soltanto religiosa: molti di questi ragazzi non frequentano la moschea. Forse dietro quella volontà distruttrice si cela l’impossibilità di entrare a far parte della società occidentale a pieno titolo e l’impossibilità anche di un ritorno ai luoghi delle origini, se non per un apprendistato di guerra.

È come se quei ragazzi-kamikaze avessero deciso che vale la pena di rinunciare a ciò che i loro genitori hanno sempre rimandato, sperando in un’integrazione di cui questi ragazzi hanno visto solo il fallimento. E una volta decretato l’insuccesso del tentativo di integrarsi in Occidente l’unica soluzione, tragicamente folle, resta quella di far saltare l’intero sistema, di rinchiuderlo nella paura, in quella paura e in quel disagio che relega una parte della generazione Bataclan ai margini.

Una scelta densa di pericoli. A iniziare da quello dell’emulazione. Amplificata dalla diffusione nella Rete. Un ragazzo marocchino che frequenta la seconda media in una scuola di Cremona è stato sospeso perché durante le ore di lezione è uscito dall’aula e nel corridoio ha appallottolato un grande quaderno e ha mimato un mitragliatore, come a sparare. Ha inneggiato agli attentati di Bruxelles.

È questa immagine a simboleggiare, più di tante parole, il rischio che la cattiva generazione Bataclan possa non solo uccidere dal vivo, ma anche – e forse è ancora peggio – annientare le menti e i sentimenti di tanti coetanei in tutta Europa. Se non saremo capaci di rilanciare, con modalità diverse, l’obiettivo dell’integrazione, l’intera generazione Bataclan delle speranze, dei sorrisi e della vita è destinata a soccombere in un delirio di vendetta.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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