Vanna Iori

Il Def conferma che al Governo cultura e istruzione non interessano

Il Def conferma che al Governo cultura e istruzione non interessano
18/04/2019 | Categorie: Cultura, Huffington Post, Media Press, Scuola


Nel 2019 l’Italia sarà il Paese che crescerà meno tra quelli occidentali e anche per gli anni successivi la stima di crescita, seppur ottimistica, si mantiene su livelli estremamente bassi. Servirebbero interventi significativi per sostenere gli investimenti pubblici e privati, il lavoro e, soprattutto, l’istruzione e la ricerca.

Purtroppo, nel Def (Documento di Economia e Finanza) presentato al Parlamento, non si prospetta nessun intervento adeguato per favorire i settori che investono sul sapere e la conoscenza e che, ovunque nel mondo, rappresentano leve di crescita e sviluppo fondamentali. Eppure l’esecutivo si era presentato in campagna elettorale, promettendo che avrebbe risolto tutte le carenze che affliggono la scuola e l’università e che avrebbe stanziato miliardi di euro.

Fino a oggi non è accaduto nulla di tutto ciò è il comparto della conoscenza e della cultura rischia di diventare il bancomat da cui attingere per avviare i dolorosi tagli di spesa che a breve diventeranno inevitabili: a partire dai 2 miliardi di tagli automatici previsti in legge di bilancio se gli obiettivi di crescita non fossero stati rispettati. E così è stato.

Nel documento di economia e finanza, come nello stile del governo, si fa una lunga lista della spesa. Sia chiaro, si tratta di interventi tutti condivisibili. Chi potrebbe non essere d’accordo con la realizzazione di interventi per limitare l’abbandono scolastico o incrementare e arricchire l’offerta formativa. Ma con quali risorse? Vogliamo guardare negli occhi la realtà?

Già l’ultima legge di bilancio ha previsto esclusivamente riduzioni di spesa determinate da importanti rinunce a norme di miglioramento come l’alternanza scuola-lavoro o dalla cancellazione del nuovo sistema di formazione e reclutamento dei docenti. Un sistema che, giova ricordarlo, avrebbe evitato il formarsi di nuovo precariato, garantendo un percorso chiaro e certo dal concorso all’immissione in ruolo e l’elevata qualificazione del percorso di formazione dei futuri docenti.

Per non parlare delle promesse mancate sul tempo pieno. Di Maio ha avuto il coraggio di annunciare trionfalmente di aver esteso il tempo pieno in tutte le scuole d’Italia. I numeri, purtroppo, raccontano una realtà molto diversa. L’incremento delle attività pomeridiane aumenterebbe il coinvolgimento educativo prevenendo gli abbandoni scolastici, ma occorrerebbero 44mila docenti. Oltre venti volte più di dei duemila assunti con la legge di bilancio. La irrealizzabile promessa smaschera la reale intenzione di ignorare i bisogni educativi, soprattutto nelle aree più svantaggiate.

Ricordiamo che, secondo gli ultimi dati del rapporto Svimez sull’economia e la società del Mezzogiorno, al Sud c’è un serio problema di scolarizzazione. Stiamo assistendo all’incremento del divario tra Settentrione e Mezzogiorno in termini di investimenti, carenza di servizi a supporto delle famiglie e scarso apporto degli enti locali per quanto riguarda mense, trasporti, sussidi didattici, asili nido.

I governi precedenti avevano cominciato a invertire la tendenza con investimenti superiori ai 5 miliardi di euro e una serie di interventi di potenziamento e con importante piano di messa in sicurezza del nostro patrimonio scolastico. Bisognava andare avanti, e si sta tornando indietro.

Penso anche all’assenza di qualsiasi proposta su come ampliare la platea degli studenti universitari che hanno beneficiato dell’esenzione contributiva (la cosiddetta no tax area); ragazzi che provengono da famiglie che dichiarano meno di 13mila euro annui di Isee che, grazie a questa misura, possono frequentare le lezioni. Adesso cosa succederà?

Non bastano le promesse. Non si cresce per decreto. Serve investire e avere visione. Non pensare alla scuola e all’università significa consegnare lo sviluppo del Paese a un futuro di grande incertezza.

Il mio articolo per Huffington Post




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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