Vanna Iori

Il caso dell’evasione al Beccaria ci racconta che bisogna ripensare i progetti educativi

Il caso dell’evasione al Beccaria ci racconta che bisogna ripensare i progetti educativi
03/01/2023 | Categorie: Carcere, Media Press, Minori


Ciò che è accaduto al carcere minorile Beccaria di Milano nasce principalmente da due fattori: la drammatica condizione in cui versano i giovani che hanno alle spalle famiglie fragili e poche prospettive di progettualità futura e, d’altro lato, l’assenza di risorse per progetti di recupero e rieducazione, con una seria carenza di educatori che rende complicato il lavoro delle comunità per le situazioni più difficili. Questa condizione nasce anche dalla difficoltà di intercettare le difficoltà di questi ragazzi prima che commettano reati più gravi e finiscano in carcere. Chi e come dovrebbe intervenire per una prevenzione efficace?

La scuola fa una grande fatica a toglierli dalla strada, dando loro qualche opportunità di scegliere strade diverse rispetto alla criminalità, gli enti locali non hanno risorse sufficienti per garantire servizi adeguati, soprattutto nelle periferie, e l’assenza di altri circuiti educativi acuisce l’isolamento educativo. Risiede qui, nel dispiegarsi temporale del fenomeno e nell’assenza di investimenti, la fragilità di questi minori dimenticati che -una volta arrivati in un istituto di pena- cominciano a mostrare segni di depressione, rabbia, solitudine che possono sfociare in episodi borderline. Sarebbe importante cogliere i segnali predittivi che risiedono nelle frequenti bocciature e nelle assenze scolastiche, nell’uso di sostanze stupefacenti o nel consumo di alcol, negli atti vandalici o di bullismo. Servirebbe agire prima, recuperando i ragazzi prima che entrino nel circuito deviante degli adulti.

Una volta che il disagio diventa conclamato il sistema fa fatica ad intervenire perché ha scarsi mezzi, dal personale a strutture adeguate di accoglienza, per seguire i percorsi rieducativi con progetti dedicati. Piero Bertolini, professore di Pedagogia all’Università di Bologna, era stato per dieci anni (1958-1968) direttore del “Beccaria” e aveva sperimentato innovazioni educative lavorando sull’idea di responsabilizzazione dei ragazzi e di costruzione di un progetto di vita. Il suo libro “Ragazzi difficili” indicava prospettive ancora attualissime. Senza queste fondamentali visioni pedagogiche non è possibile un autentico recupero. Le comunità hanno il compito fondamentale di non giudicare questi ragazzi, prendendosi cura di loro e seguendoli in percorsi formativi con il successivo avviamento al mondo del lavoro. Ma proprio questo lavoro di recupero del disagio è reso difficile dalla carenza di educatori. E allora arriva il carcere che è la pagina successiva a dimostrare il fallimento di un sistema che non è riuscito in nessuna delle sue fasi di intervento ad evitare ai ragazzi la reclusione. Sono sempre più urgenti interventi per rafforzare la prevenzione di fenomeni di devianza e violenza a tutti i livelli prima che deflagrino. Ma anche dentro al sistema carcerario è necessario investire risorse per il recupero del disagio, per il personale educativo, per le forze dell’ordine, per spazi adeguati e dignitosi. Solo così si può cominciare a responsabilizzare e recuperare i giovani, chiedendo un impegno maggiore per il loro futuro, lasciando intravedere spazi di crescita e speranza.

I dati indicano chiaramente che i percorsi educativi strutturati, positivi e dedicati o le misure alternative al carcere riducono i tassi di recidiva e restituiscono questi ragazzi a una nuova vita. Aiutiamoli a costruire progetti di vita. Ai provvedimenti servono proposte educative all’altezza: la repressione è la via più semplice che, tuttavia, non risolve alcun problema. Occorre curare le relazioni, imparare a occuparsi di sé e degli altri, nutrire speranza, esercitare volontà positiva.

I ragazzi scappano perché si sentono abbandonati, gli affetti non ci sono, la solitudine morde e le ferite bruciano. Scappano quando non hanno nulla da perdere, quando non c’è una promessa di futuro per cui valga la pena impegnarsi. I ragazzi esplodono di rabbia ma non trovano le parole per esprimere le emozioni e adulti che le vogliano ascoltare. Sta a noi non considerarli dei reietti, ma solo dei ragazzi molto fragili a cui bisogna dare la possibilità di sperare e credere che possa esserci un futuro migliore.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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