Vanna Iori

Su Dire: “Costruire progettualità nel tempo dell’adolescenza”

Su Dire: “Costruire progettualità nel tempo dell’adolescenza”
25/07/2016 | Categorie: I miei comunicati stampa


Il mio articolo di oggi, lunedì 25 luglio 2016, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

Smarriti. Connessi con la piazza virtuale di Internet e dei social network eppure spesso oppressi dalla noia e dalla solitudine. Alla ricerca, perenne e difficile, di un’emozione sempre più “forte”, eppure a volte così effimera. Un’emozione che si traduce a volte in violenza e in voglia di sopraffazione sull’altro. Chi sono oggi gli adolescenti?

L’universo adolescenziale è tutt’altro che omogeneo e stabile. Composito, ambivalente, contraddittorio, in continua evoluzione, è un “uni-verso” fattosi “pluri-verso”. Ha caratteri quanto mai frammentati in tanti mondi vitali che assumono regole e valori molto variegati e anche contrastanti. Si sottrae di continuo alle pretese di spiegazione e rende ardua la costruzione di proposte educative efficaci e durature.

La consapevolezza di tale complessità impone di affrontare la realtà giovanile odierna in modo problematico, di deporre le certezze delle risposte per lasciare emergere le domande. Solo a queste condizioni è possibile rompere il silenzio educativo, ma anche culturale, etico, sociale e politico, che circonda i ragazzi, per ipotizzare risposte significative e stimolare la corresponsabilità istituzionale nella promozione della loro progettualità.

Da un lato è possibile interpretare alcuni segnali per delineare uno scenario all’interno del quale non è importante solo riflettere, ma anche operare. Dall’altro, per aiutare gli adolescenti di oggi a diventare gli adulti di domani, in questo complicato arco temporale della vita che segna il transito dall’infanzia all’età adulta, la stessa delimitazione temporale si è fatta incerta: definire la giovinezza come un periodo, una fase del tempo della vita, significa porre demarcazioni sempre più labili poiché, nella società post-moderna, tale età si è dilatata, ne è anticipato l’ingresso e posticipata l’uscita. Si resta  nella condizione di “adolescenti” molto più a lungo che nel passato.

L’identità adolescenziale è quindi di difficile definizione e non è certo semplice capire i bisogni, le aspirazioni, le scelte, le domande, individuare le esperienze che possono essere significative, e soprattutto costruire progetti. La frammentazione socio-culturale, la pluralità di esperienze e di mondi vitali dei giovani rendono oggi l’identità giovanile una “pluridentità” complicata espressione di “molteplici” identità a seconda del punto di vista considerato.

Da quali segmenti della società i giovani desumono i loro comportamenti? Dalla famiglia, dalla scuola, dai media, dai pari? E quali sono i criteri attraverso cui  si muovono  per orientarsi nella società e integrarsi o per contrastarla? Quali itinerari percorrono o tracciano essi stessi? Quali sono i valori di riferimento, i modelli culturali che contribuiscono allo sviluppo della loro identità? E, ancora più radicalmente, si potrebbe porre l’interrogativo: esistono ancora modelli tramandabili ai giovani?

La crisi dei valori è anche legata al nostro vivere in una società in cui i cambiamenti sono così rapidi che si è modificato (o si è perso?) il senso della appartenenza alla storia, ovvero del nostro radicamento nel passato e della proiezione nel futuro.

Il legame che accomunava in passato le generazioni era proprio questa “eredità” di valori che venivano rivisti o riaggiustati, ma che comunque, nel modificarsi da una generazione all’altra, costituivano anche un filo di continuità tra le generazioni.

Ora questo processo sembra essersi spezzato, e diventa più difficile per tutti porre domande al passato ed al presente, individuare risposte e renderle operanti in un contesto sociale così mutevole e differenziato.

Che fare? Bisogna ripartire dalla costruzione di spazi di ascolto reali. È fondamentale innanzitutto creare spazi per una progettualità giovanile. Non si tratta soltanto di pensare a costruire progetti “per” i giovani quanto di favorire occasioni, luoghi, esperienze che facilitino la costruzione di progetti di sé, di progetti per la propria esistenza.

Perdere la dimensione progettuale significherebbe infatti perdere la capacità di pro-gettarsi nel futuro, di concepire speranze, utopie, cambiamenti. E questo sarebbe un danno gravissimo per tutta la società. Significherebbe un appiattimento nel presente che non sa guardare avanti.

È quindi urgente concepire e predisporre interventi socio-educativi aderenti ai reali bisogni dei giovani, suscitare speranze, alimentare prospettive esistenzialmente significative, poiché la sorte delle nuove generazioni è una prospettiva che riguarda lo sviluppo di tutta la società.

Vi è invece nel nostro paese una certa latitanza delle istituzioni nel concepire servizi socio-educativi per i giovani e i provvedimenti posti in essere hanno carattere per lo più occasionale. Paragonate alle politiche e ai servizi per altre categorie di soggetti, le politiche per i giovani risultano minoritarie e scarse.

Questa carenza quantitativa e qualitativa ha prodotto fino ad oggi esperienze frammentarie e disorganiche: anche dove l’ente locale ha collaborato con il privato sociale non vi sono state reali pratiche di coordinamento nella gestione dei processi educativi, nella riflessione comune riguardante le esperienze compiute, la loro raccolta e la valutazione.

Non rinunciare alla dimensione progettuale è quindi la tensione ideale, il filo conduttore del sempre più necessario lavoro educativo con gli adolescenti. Ma questa prospettiva generale di recupero della progettualità implica necessariamente alcuni altri passaggi nodali affinché non si debbano creare soltanto spazi circoscritti, luoghi deputati “per” gli adolescenti, ma si costruisca e si diffonda una società in cui ci sia effettivo spazio di sviluppo e di crescita progettuale.

Il recupero del “noi”, delle relazioni sociali che rivestano un senso, comporta il superamento dell’indifferenza sia per l’altro che è accanto a noi (il vicino di casa), sia per quell’altro più vasto che è la società. La socializzazione si traduce così in un essere “insieme” agli altri nella crescita come individui autonomi che esercitano il proprio diritto alla dignità umana, sociale e civile, anziché essere “accanto” semplicemente, senza una reale condivisione di esperienze significative per la crescita.

Restituire ai ragazzi  il futuro significa recuperare quelle dimensioni di vita che hanno a che fare con l’impegno, le scelte, il coraggio, la speranza. Significa recuperare la coscienza del tempo e della appartenenza alla storia, individuale e sociale.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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