Vanna Iori

Prendersi cura del personale di cura

Prendersi cura del personale di cura
06/12/2023 | Categorie: Huffington Post, Media Press, Sanità


Per 24 ore i cittadini hanno compreso cosa significherebbe vivere senza un servizio sanitario nazionale le cui origini risalgono al 1948 quando la Costituzione ha riconosciuto il diritto alla salute. Veniva poi istituito 45 anni fa quello che, ancora oggi, spicca in Europa e nel mondo per il suo carattere universalistico. La salute è un diritto di tutti. E si deve alla prima donna ministro della Repubblica, Tina Anselmi, l’avvio di quel sistema di sanità pubblica che oggi è sottoposto alla più grande prova della sua storia.
Nel suo discorso alla Camera, il 23 dicembre 1978 -giorno in cui arrivò nelle aule parlamentari la legge che istituiva il SSN- la ministra Anselmi fu chiara nel rendere esplicito il fatto che la riforma era frutto del sentire ampio del paese: “La riforma è frutto dell’iniziativa del movimento operaio, rappresentato sia dalle organizzazioni sindacali che dai partiti della sinistra, partito comunista e partito socialista” e istituisce quattro principi cardine: “Globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della persona”.
in un’intervista rilasciata vent’anni fa, ebbe modo di ricordare come in quegli anni, “segnati da posizioni molto diversificate (…) tuttavia esisteva un’adesione di fondo a quel principio sul quale è stata costruita la riforma del Sistema sanitario italiano: l’adesione ai valori su cui costruire la tutela e il diritto del cittadino ad avere una garanzia da parte dello stato per quanto riguarda la sua integrità. Per costruire un sistema che assumesse, come suo valore fondante, la tutela della persona”.
Ebbene, perché ho deciso di partire da così lontano? Perché attraverso le parole di Tina Anselmi possiamo comprendere la portata del rischio che corriamo oggi e delle ragioni per cui ieri, milioni di italiani, hanno toccato con mano cosa significherebbe smantellare questa promessa mantenuta di civiltà democratica fondata sulla cura nata nel 1978.
Ieri i medici, gli infermieri e il personale sanitario hanno aderito a uno dei più ampi scioperi che il settore ricordi (adesione media del 75% con punte dell’85%): sono saltati 30 mila interventi chirurgici urgenti, 180 mila visite specialistiche e 50 mila esami radiografici. Che cosa è che sta determinando questa sollevazione di massa? Quali le ragioni per cui milioni di dipendenti del Ssn hanno incrociato le braccia, denunciando un sistema al collasso e un trattamento indegno della loro professionalità, dignità e dei loro diritti?
Intanto, nella legge di bilancio è previsto un taglio delle pensioni che farà perdere loro fino al 25% dell’assegno che, molto probabilmente, determinerà una fuga anticipata dalle corsie dove il personale già scarseggia; i fondi per il rinnovo del contratto non sono in grado di contrastare gli effetti dell’inflazione; mancano 20 mila medici e 65 mila infermieri -tanto che per questa figura il ministro Schillaci ha proposto di assumerli in India; non è stata prevista alcuna detassazione di parte delle retribuzioni già esigue. Insomma, le professioni che devono garantire la salute e la cura dei cittadini non vengono valorizzate dallo Stato. Un fatto molto grave perché è proprio il Ssn che con i suoi medici e i suoi infermieri ci tiene in vita, ci permette di guarire dalle malattie, di sopravvivere agli incidenti o alle epidemie (ci siamo già dimenticati del Covid?). La verità amara è che ci troviamo di fronte a un servizio pubblico sempre più povero in cui si riducono gli investimenti rispetto al PIL e che costringe milioni di italiani a sottoscrivere assicurazioni per accedere a prestazioni private a cui avrebbero diritto, mentre il personale fugge verso il settore privato. Cosa resta di un diritto sancito dalla Costituzione che vuole un servizio per tutti a prescindere dal censo? Cosa resta se il personale del servizio pubblico è malpagato, sottoposto a orari inumani, con i pronto soccorso che esplodono in assenza di personale, con i giovani medici che non riescono ad accedere alle specializzazioni, con le aggressioni in corsia e fenomeni di burnout sempre più evidenti?
La risposta della premier è preoccupante per il suo alone di demagogia e populismo; il sistema è inefficiente, è un carrozzone di sprechi. Servono più risorse o riforme che ridiano dignità alla professione, e un sistema più produttivo e operoso.
Le risorse servono come gli incentivi per non far scappare i professionisti nelle attività libero professionali che svuotano sempre di più il pubblico e portano a rendere il privato, quello sì, più efficiente. Stiamo consegnando la sanità pubblica a una lenta agonia in un paese sempre più povero dove i divari territoriali e le disuguaglianze sociali aumentano. Stiamo consegnando il lavoro di cura a una lenta “discura”. Non esistono relazioni di cura prive di emozioni. Il medico è sempre il “guaritore ferito” come il Chirone della mitologia. Aiutiamo il personale della straordinaria attività del prendersi cura, rileggendo con occhi nuovi tutta l’organizzazione del lavoro, ponendo sempre al centro della relazione di cura le persone che, nella loro unicità, non possono essere incasellate, classificate, ridotte a organi. In una prospettiva di umanizzazione dei servizi è necessario potenziare il prendersi cura di chi si prende cura per un agire professionale fatto di abilità tecnica e competenza sanitaria ma anche di cura esistenziale.



Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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