Vanna Iori

Il futuro non aspetta

Il futuro non aspetta
12/05/2023 | Categorie: Huffington Post, Media Press


Le espressioni “società dell’informazione”, “economia della conoscenza”, “digitalizzazione”, “impresa 4.0”, “internet delle cose” e così via, sono ormai diffuse quando si parla degli sviluppi più recenti della società e dell’economia. Questo scenario socio-economico e tecnologico globale, sempre più complesso, innesca cambiamenti radicali dell’intera società, apre scenari fino a oggi impensabili che richiedono nuove competenze per rafforzare la competitività del Paese, per offrire prospettive concrete di accesso ad un mondo del lavoro in profonda trasformazione ma anche di riqualificazione nel corso della carriera professionale.

L’innovazione che evolve così velocemente da stravolgere il mondo del lavoro costituisce per il mondo della scuola, che per vari motivi viaggia ad una velocità innovativa inferiore a quella della società, una sfida e un’occasione per intercettare queste nuove opportunità e rendere strutturali le nuove competenze. Sono necessarie iniziative formative a tutti i livelli del sistema d’istruzione e formazione al lavoro per far fronte alla crescente domanda di nuove competenze e figure professionali specializzate. Questo è un nodo cruciale che va affrontato al più presto e in modo efficace, per evitare che causi ritardi e per creare vere opportunità per i giovani nella società ridefinita dal PNRR.

Un passaggio importante è stato fatto con le riforme del PNRR: la scorsa legislatura è stata approvata, infatti, la ridefinizione dell’istruzione tecnica e professionale. In Italia oggi contiamo poco meno di 20.000 iscritti ai sistemi di formazione terziaria: parliamo di ragazzi che, non scegliendo di iscriversi all’università, cercano una strada alternativa su materie che possano valorizzarli. Ricordiamo che il 28 per cento di ragazzi e ragazze con questa provenienza scolastica abbandona l’università dopo il primo anno di studi. Probabilmente dare un approdo di natura diversa rispetto alla scelta che è stata fatta potrebbe offrire disponibilità di lavoro indispensabili per l’impresa italiana che sono anche opportunità di costruirsi percorsi di vita soddisfacenti. Parliamo di un asset strategico importante perché nel nostro Paese si  creano le manifatture mondiali più all’avanguardia.

Serve accompagnare un’idea nuova di sviluppo economico e restituire anche centralità al sistema manifatturiero italiano che chiede un salto di qualità sul versante della formazione delle risorse umane. Per accompagnare la trasformazione digitale, sociale, ambientale, non si può eludere il tema dell’investimento nei saperi, nelle competenze e nella formazione. Non ci sono scorciatoie se vogliamo che la transizione produca nuova occupazione, attragga nuovi investimenti industriali, generi maggiore lavoro. L’investimento nel capitale umano diventa decisivo per trasformare la transizione, passando dalla paura alla capacità di generare futuro, speranza e crescita. Per riuscirci bisogna scardinare l’idea che gli istituti tecnici siano ambiti marginali del nuovo sviluppo economico. Se gli istituti tecnologici acquistano una relazione con le imprese e con le università nei percorsi di formazione, cioè se si costruisce finalmente l’alleanza dei saperi (senza smarrire l’importanza delle conoscenze di area umanistica e le soft skill), possono utilizzare le imprese e gli straordinari laboratori finanziati dalle risorse del PNRR. Abbiamo cinquant’anni di ritardo rispetto alle Fachschule tedesche, nate nel 1970, quando, si comprese – nella crescente rilevanza che aveva la tecnologia per l’innovazione e la crescita economica – che la competenza era centrale. Siamo in ritardo da questo punto di vista ma anche nella consapevolezza culturale che è necessario aprire un canale terziario professionalizzante e ampliare la platea di persone che hanno accesso a livelli alti di studio.

La formazione professionale non è “inferiore”; l’esperienza tecnica non è di serie B. Si fa spesso un discorso classista che è paradossale in un Paese come il nostro dove la tecnologia sta prendendo sempre più piede. Dalla formazione tecnica e professionale passa la mobilità sociale, passano gli stipendi, passa l’innovazione e il futuro di un Paese. Per questo è importante favorire la parità di genere per superare una disuguaglianza di presenze in questo tipo di formazione: il frutto avvelenato di stereotipi e pregiudizi che vogliono le ragazze meno portate agli studi tecnici e scientifici e che è costantemente contraddetta nei fatti. Si lavori davvero per  costituire il secondo canale, parallelo a quello universitario, per formare una nuova classe di technologist, specialisti che lavorano a un livello diverso. Se non costruiamo quel tessuto tecnico specialistico non c’è innovazione che tenga. Dobbiamo promuovere un terreno diffuso di competenze, nel Paese, perché, altrimenti, resteremo indietro nella grande sfida della transizione.26




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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