Vanna Iori

Quali risposte alla dilagante violenza giovanile?

Quali risposte alla dilagante violenza giovanile?
18/02/2022 | Categorie: Educazione, Huffington Post, Media Press, Minori


La ministra Cartabia, in commissione parlamentare Infanzia e Adolescenza, ha sottolineato l’importanza decisiva dell’educazione sul drammatico tema della violenza minorile e delle baby gang, oltre alle esperienze di messa alla prova e della giustizia riparativa per i giovani che sono detenuti, al fine di ricostruire un nuovo progetto di vita.

Già nel corso delle inaugurazioni dell’anno giudiziario varie Corti d’appello hanno segnalato un crescente ricorso alla violenza da parte dei minori, di sopraffazione tra di loro e anche il rischio, soprattutto in certe aree del Paese, che i ragazzi senza prospettive e progetti per la loro vita possano essere intercettati dalla criminalità organizzata e usati come manovalanza. Negli istituti penali per i minorenni fino al dicembre 2021 si sono registrati 815 ingressi e il numero dei minorenni e giovani adulti presi in carico dagli uffici di servizio sociale ha superato le 20 mila unità. Sono solo alcuni numeri che, uniti agli episodi terribili di violenza che leggiamo ogni giorno sui giornali, ci interrogano sulle risposte concrete da dare a un fenomeno che è diventato non più occasionale ma strutturale e che, spesso, certifica l’incapacità di empatia o di consapevolezza del rapporto azione-reazione che esiste tra molti giovani.

Emerge da questo universo -che non ha differenze geografiche o sociali- un disagio emotivo che non dobbiamo esitare a definire spaventoso. Gli episodi di devianza giovanile che caratterizzano le cronache dei nostri giorni, dunque, richiedono di fare le domande giuste su questa generazione, per trovare risposte efficaci, oltre le risposte sanzionatorie o quelle patologiche che sembrano dominare oggi il dibattito su questi temi, perché violenza e disagio sono aumentati negli ultimi anni in una sorta di escalation che sembra non avere fine sia in termini quantitativi che qualitativi.

Storie che mettono in luce l’urgenza di intervenire sul piano educativo e preventivo con un coinvolgimento prioritario degli adulti, delle famiglie, troppo spesso incapaci di valutare i comportamenti violenti dei propri figli, delle scuole, delle realtà del territorio. Tutte agenzie che devono essere messe in grado di dialogare tra loro, costruendo una rete di sostegno e l’ossatura profonda della comunità educante. Perché non basta recuperare la dimensione del dialogo autentico tra genitori e figli e un quadro riconosciuto e riconoscibile di regole senza, contestualmente, ricostruire un patto che trovi il suo baricentro nei luoghi educativi dei contesti comunitari.

Due sfide ci aspettano: culturale e organizzativa.

La violenza dei giovani e tra i giovani si è fatta più efferata, priva di coscienza, lontana anni luce dai valori sani che dovrebbero orientare questa fase della vita, seppur difficile e precaria. Questo anche perché mancano spesso luoghi di ascolto e di aggregazione, sempre meno presenti nelle città così come nei piccoli centri. Ecco perché oggi è prioritario chiedersi come costruire spazi fisici e di senso, guidati da professionalità capaci e riconosciute, in grado di ricevere le domande degli stessi adolescenti. L’identità giovanile è di difficile definizione e non è certo semplice capire i valori di riferimento, i bisogni, le scelte, le domande, individuare le esperienze che possono essere significative, e soprattutto costruire progetti. Eppure è da qui che dobbiamo partire. Non possiamo limitarci a descrivere gli episodi di violenza, le risse, l’aggressività e dichiararci sbigottiti. Dobbiamo individuare risposte e renderle operanti in contesti sociali così mutevoli e differenziati.

Per costruire spazi di ascolto reali è fondamentale innanzitutto creare spazi per una progettualità giovanile. Non si tratta soltanto di pensare a costruire progetti “per” i giovani, quanto di favorire occasioni, luoghi, esperienze che facilitino la costruzione di progetti di sé, di progetti di senso per la propria esistenza. Perdere la dimensione progettuale significa infatti perdere la capacità di pro-gettarsi nel futuro, di concepire speranze, utopie, cambiamenti. E questo sarebbe un danno gravissimo per tutta la società. Significherebbe un appiattimento nel presente che non sa guardare avanti e costruire la società del domani. Restituire ai giovani il futuro -soprattutto dopo il Covid- significa recuperare quelle dimensioni di vita che hanno a che fare con l’impegno, le scelte, il coraggio, la speranza. Significa recuperare la coscienza del tempo e dell’appartenenza alla storia, individuale e sociale.

È necessaria una diffusa azione sociale, ri-fare comunità per contrastare l’isolamento e l’indifferenza reciproca. Il recupero del “noi”, delle relazioni sociali che rivestano un senso, comporta il superamento dell’indifferenza sia per l’altro che è accanto a noi, sia per quell’altro più vasto che è la società. La socializzazione si traduce così in un essere “insieme” agli altri nella crescita come individui autonomi che esercitano il proprio diritto alla dignità umana, sociale e civile, anziché essere “accanto” ma soli, senza una reale condivisione di esperienze significative.

Il disagio giovanile, soprattutto quello che non è ancora esploso in forme conclamate, assai più difficili da recuperare, ha innanzitutto bisogno di essere ascoltato. In questo senso, è decisivo che uno spazio giovani come luogo fisico e simbolico sia inserito permanentemente in una rete tra servizi socio-educativi per individuare e creare spazi di aggregazione che facciano percepire l’esperienza di “radicamento” nel territorio, di appartenenza al quartiere, per suscitare il senso dell’abitare, rendendo sempre più solide le reti relazionali in contesti educativamente connotati.

Il Covid ha profondamente cambiato il volto delle nostre comunità, rimettendo in primo piano la necessità di restituire centralità alla persona nella sua complessità e, di conseguenza, ripensando i servizi territoriali nella chiave della prossimità e della multidisciplinarità. In questo quadro, la scuola può rappresentare un elemento fondamentale di ri-costruzione e sviluppo di comunità perché è l’istituzione indispensabile per tenerla unita, farla crescere e permettere ai più giovani di partecipare e essere inclusi nella vita collettiva. Ma può esserlo solo se la cooperazione tra le reti territoriali diventa fondamentale per rilanciare i patti educativi nel nesso inscindibile tra sviluppo ed educazione.

Per questo, la sfida dei prossimi mesi sarà quella di rafforzare e ricostruire alleanze educative, allargare le reti di collaborazione tra le istituzioni scolastiche, enti locali e terzo settore, con tutte le associazioni che operano sul territorio, centri sportivi, oratori, famiglie, ma anche realtà imprenditoriali. Questo è lo strumento per potenziare l’offerta educativa dalla più tenera età fino a quella adulta, sostenere le famiglie, combattere i fenomeni di devanza, la dispersione scolastica e il fenomeno dei cosiddetti NEET per ricucire il tessuto sociale, rimettendo al centro la persona, garantendo inclusione e crescita. Non sarà facile ma è tempo di aprire la via della prevenzione, se vogliamo davvero contrastare la violenza.
Il mio articolo per Huffington Post




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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