Vanna Iori

Su HP: “Ripartire dagli errori per alleviare l’ansia da genitori perfetti”

Su HP: “Ripartire dagli errori per alleviare l’ansia da genitori perfetti”


Il mio nuovo articolo pubblicato oggi, venerdì 6 ottobre 2017, sul mio blog sull’Huffington Post Italia.

 

Le profonde trasformazioni che stanno caratterizzando la società attuale hanno introdotto numerosi elementi di novità, persino di rottura, nel rapporto tra genitori e figli, rendendo sempre più difficile orientare l’azione educativa. È inutile nasconderlo: stiamo attraversando una stagione di genitori insicuri che vivono nell’ansia di essere “perfetti”. Perciò non considerano l’errore come un’opportunità di apprendimento, ma come un fallimento da evitare a tutti i costi.

Ripartire dall’errore, invece, può essere una strada efficace da seguire per riprendere la responsabilità educativa equilibrata e serena nei confronti dei propri figli. L’ansia da mancata “perfezione” aumenta di fronte agli insuccessi, grandi o piccoli, dei figli. “In che cosa abbiamo sbagliato?”, si chiedono i genitori.

L’irreversibilità educativa è sempre carica di interrogativi, di dubbi, di sensi di inadeguatezza o di colpa, poiché il gesto compiuto, la parola detta, la scelta fatta lasciano segno e memoria. Nel rapporto educativo, quando ci si accorge di aver sbagliato, non si può cancellare ciò che è già avvenuto; non si può più tornare indietro.

L’impossibilità di tornare indietro si accompagna però alla possibilità di guardare avanti e di recuperare “nuovi punti di partenza”. L’errore diventa invece causa di disagio se i genitori perseguono modelli di infallibilità.

La ricerca del comportamento corretto non è mai esente da sbagli. Tutti sbagliamo. Tutte le competenze e le migliori intenzionalità progettuali non scongiurano l’errore che è, purtroppo, elemento inevitabile di ogni azione educativa e può tradursi positivamente nella matura consapevolezza della propria fallibilità.

Il valore educativo dell’errore non consiste nell’accantonarlo o nel rimuoverlo, ma nel cogliere i messaggi in esso contenuti, intraprendere nuovi sentieri di ricerca, superare gli schemi acquisiti verso una nuova “riconversione”. Sapere che non esistono esperienze educative senza errori può servire a non drammatizzare, ma anche a non ripetere quel determinato comportamento, o a cercare di “compensare” gli errori precedenti con interventi più attenti.

Evitare gli errori non è possibile, ma è possibile assumere un atteggiamento aperto a rivedere i propri modelli e a modificarli, se occorre. Questa è la più onesta assunzione di responsabilità educativa.

Un tratto che accomuna molti giovani genitori è il desiderio di offrire al figlio il massimo di cure affettive e di beni materiali. Essi pretendono molto da sé stessi e dai figli. Avvertono l’inadeguatezza dei comportamenti parentali che sono stati loro trasmessi, ma sentono – nel contempo – di possedere labili modelli educativi “nuovi”.

Le elevate aspettative producono un diffuso timore dell’insuccesso e un bisogno di conferme tramite la “riuscita” dei figli: i genitori misurano le proprie abilità educative con il successo dei figli. E questi risentono di un investimento emotivo sulla loro riuscita scolastica: fin dai primi anni delle elementari sono in preoccupante aumento i sintomi psicosomatici in prossimità delle verifiche.

La scelta del figlio unico, in particolare, conduce molti genitori a ritenerlo “speciale”, a volerlo “superiore” agli altri. Tale atteggiamento si traduce in una ricerca di “perfezione” che costringe a rincorrere parametri sempre più impegnativi, in un’inevitabile conseguente competitività: l’aspirazione a posizionare i propri figli quanto più precocemente possibile ai massimi livelli di opportunità, di occasioni e di stimoli, pensando di adempiere al meglio alle funzioni educative.

In assenza di altri valori a cui ispirare il proprio agire educativo, i genitori finiscono per individuare i parametri di rassicurazione nei modelli proposti dall’inautenticità dominante: rincorsa al successo, al denaro, alla bellezza.

Questo “crea problemi a entrambi: ai figli, spinti (con la scelta delle scuole di eccellenza, lezioni integrative, corsi extra-scolastici di vario genere) sempre più verso lo sviluppo di capacità che consentano loro di vincere, in un’ottica di costante competizione con i coetanei; ai genitori, che vivono anche le normali difficoltà della crescita con l’angoscia di chi teme che esse siano il sintomo della mediocrità dei figli, quindi del proprio fallimento come educatori”.

Abbandonare le dimensioni dell’ipercura e l’aspirazione all’infallibilità è un passaggio necessario se vogliamo fare il bene dei nostri figli.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *