Vanna Iori

Su Dire: “Coltivare sogni e accettare sconfitte: la difficile responsabilità educativa”

Su Dire: “Coltivare sogni e accettare sconfitte: la difficile responsabilità educativa”
16/07/2017 | Categorie: Dire, Educazione, Media Press, Sport


Il mio articolo di oggi, domenica 16 luglio 2017, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

Casa a soqquadro, portafogli svuotati alla ricerca di soldi. Poi quei colpi inferti sui corpi della madre e della sorellina di 11 anni con una mannaia e un coltello da cucina.

Lui, Solomon, 21 anni, ex promessa del calcio: dall’exploit nel mondo sportivo, poi rivelatosi fallimentare, a un gorgo di solitudine, violenza, accanimento nei confronti degli affetti più cari, quelli familiari.

L’efferato omicidio in un appartamento di via San Leonardo a Parma non è solo la storia di un duplice assassinio, che in questo caso ha assunto i caratteri dell’assassinio in famiglia, come abbiamo imparato a conoscerlo dalle cronache dei giornali (dal caso di Erika e Omar alla storia di Pietro Maso).

Questa storia ha dietro di sé anche un universo emotivo fatto di solitudine, sconforto, incapacità di gestire un fallimento, rimanendone alla fine vittima. Nessun ragionamento giustificatorio nei confronti di un atto che per la sua efferatezza va condannato senza tentennamenti, ma scoperchiare il vaso del disagio giovanile è essenziale se vogliamo cercare di capire le dinamiche che spingono un ragazzo di 21 anni a massacrare la propria madre e la propria sorellina.

Solomon consumava droga e chissà se quel consumo sia legato alla delusione per non essere diventato un calciatore professionista di alto livello. Lui che a Parma era esploso da giovane sui campi da calcio, considerato una stella emergente che però alla fine si è eclissata.

È in questa cornice che si inserisce la necessità di indagare in quegli anni fatti di trionfalismi, pressioni emotive e, purtroppo, illusioni. Gli ambienti vissuti oggi dai giovani sono fatti anche di insidie e il mondo dello sport non ne è privo.

Perché se lo sport, e in questo caso il calcio, si trasforma in un’attività dove l’elemento agonistico e di socializzazione passa in secondo piano, allora è evidente che diventa un ambiente che può costituire un grosso rischio per lo sviluppo dei giovani.

Qualcuno ha chiamato le scuole calcio, così come i talent show, delle fucine di illusioni. La demonizzazione sarebbe ingiusta e lontana da una legittima aspirazione che non possiamo ignorare. Se tanti ragazzi sognano di diventare i futuri Buffon o Totti, oppure cantanti o ballerini affermati, non possiamo guardare a questi fenomeni con i paraocchi.

Possiamo (anzi, dobbiamo) tuttavia accompagnare questo cammino con responsabilità educativa. Una responsabilità che risiede innanzitutto nei genitori: i figli non possono diventare la realizzazione di ambizioni e sogni che nella propria vita non si è riusciti a raggiungere.

Ai figli va lasciata la giusta autonomia, ma vanno allo steso tempo guidati affinché gli ambienti esterni che frequentano si configurino come luoghi di crescita, anche personale, di confronto, di socializzazione. Sono invece ambienti malsani quelli dove prevale un agonismo esasperato, o dove le ambizioni dei genitori diventano precetti per i propri figli, caricati di pressioni insostenibili che, passata la fase ascendente della parabola, possono trasformarsi in delusioni dolorose, depressioni, comportamenti devianti.

Qualcuno è stato accanto a Solomon nel difficile passaggio da star del calcio a ragazzo “comune”? Se l’epilogo è stato il duplice omicidio la risposta è facilmente intuibile.

Spetta a tutti noi, quindi, occuparci dell’universo emotivo dei giovani, aiutandoli a interpretare e gestire i propri sentimenti, a mettere i giusti paletti a sogni di successo che sono legittimi ma non possono e non devono configurarsi come uniche speranze di accettazione di sé nella vita.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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