Vanna Iori

“Il premio alla sindaca di Lampedusa è un riconoscimento alla cultura femminile”

“Il premio alla sindaca di Lampedusa è un riconoscimento alla cultura femminile”
22/04/2017 | Categorie: Dire, Donne, Immigrazione, Media Press


Il mio articolo di oggi, sabato 22 aprile 2017, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

Parla al femminile il premio conferito dalla giuria del premio “Houphouet-Boigny” per la ricerca della pace dell’Unesco alla sindaca di Lampedusa, Giuseppina Nicolini, per aver salvato la vita a numerosi rifugiati e migranti e averli accolti con la dignità di persone.

Un riconoscimento accompagnato da parole di encomio: “Da quando è stata eletta sindaco nel 2012, Nicolini si è distinta per la sua grande umanità e il suo impegno costante nella gestione della crisi dei rifugiati e della loro integrazione dopo l’arrivo di migliaia di rifugiati sulle coste di Lampedusa e altrove in Italia”, si legge nelle motivazioni.

Parole che riempiono di orgoglio un Paese intero, il nostro, che nonostante le derive populiste e xenofobe presenti rimane uno straordinario esempio dell’accoglienza, grazie al lavoro preziosissimo svolto dalle istituzioni, dai volontari, dalle Ong, dalle forze dell’ordine, dai sindaci, dalle parrocchie e, più in generale, da tutti quei cittadini che credono nei valori dell’accoglienza, della solidarietà e dell’integrazione come opportunità di crescita e sviluppo.

Guardando in controluce a questo riconoscimento c’è un elemento che è doveroso sottolineare: e non in un’ottica di rivendicazione di genere, ma come esempio concreto del coraggio delle donne. Sì, il riconoscimento conferito conferito a Giusi Nicolini è un premio alla loro capacità di affrontare situazioni complesse e controverse, e soprattutto alla loro voglia di costruire la pace.

Perché dietro le politiche promosse dalla sindaca di Lampedusa c’è una volontà precisa, quella di accogliere uomini, donne e bambini che fuggono da miseria, guerre e terrorismo, per dare loro un’autentica occasione di riscatto. Lampedusa è il porto d’approdo della disperazione del Mediterraneo. È stata ed è cimitero del mare, ma anche luogo di nuova vita, di sguardi disperati e impauriti che pian piano si fanno più sereni e fiduciosi.

Lampedusa, crocevia di disperazione e di gioia, di sentimenti contrastanti, terra difficile eppure simbolo di un’Italia che non vuole voltare lo sguardo altrove. Protagonista di questa missione è una donna. Ed è una donna di pace.

La cultura femminile è stata storicamente orientata a questa dimensione: quando gli uomini andavano in guerra, spettava a chi rimaneva, alle donne, la custodia della casa e della prole, così come dei campi e e dei beni posseduti. Ma soprattutto spettava a loro costruire la pace, la solidarietà tra le donne rimaste da sole mentre i loro mariti erano impegnati al fronte.

In quell’Italia si è sviluppata la coscienza migliore. La memoria storica femminile ha profonde radici nella civiltà e nella civilizzazione proprio in ragione del porsi come cultura della “riproduzione” (non in senso solamente biologico, ma anche culturale e cognitivo di “mettere al mondo il mondo”) e dell’aver cura delle persone, dei più deboli in particolare (bambini, anziani, malati), e delle cose, dell’eredità della trasmissione dei saperi e della civiltà.

Questa memoria non compare nei testi di storia, che sono prevalentemente testi di guerre, che raccontano in tre righe la storia non violenta e in tre pagine la violenta, che tacciono sui tempi di pace, su ciò che avviene nei luoghi di pace e nei tempi di pace. E ovviamente tacciono di conseguenza sulla cultura delle donne e su tutto ciò che è legato all’aver cura.

In questo senso la cultura femminile può arricchire la cultura della pace di un retroterra di riflessioni, sentimenti, conoscenze, formate ed elaborate durante i secoli, nelle guerre subite, nei pensieri taciuti, nelle ragioni occultate della ragione femminile. Le pratiche interattive femminili sono pratiche di pace che si affermano, pur nella loro originaria specificità di genere, trasversalmente ai generi.

È Virginia Woolf ad affermare nel breve saggio “Pensieri di pace”, durante un’incursione aerea: “Lassù in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. I difensori sono uomini, gli attaccanti sono uomini”. Le donne possono combattere con il pensiero per liberare dalla mentalità e dall’educazione alla guerra, anche se questo è “andare contro la corrente”. Giusi Nicolini è una di queste donne.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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