Il mio intervento sulla Gazzetta di Reggio: “La scuola la puliscano quei ragazzi”
Giovedì 9 marzo la Gazzetta di Reggio ha pubblicato in prima pagina un mio intervento dal titolo “La scuola la puliscano quei ragazzi” a commento del raid vandalico alla scuola elementare Marconi di Cadelbosco di Sotto, devastata e saccheggiata da tre ragazzi tra i 13 e i 17 anni.
Ecco la trascrizione integrale del mio intervento.
Tre ragazzi tutti minorenni, uno sotto i 14 e perciò non imputabile. Ragazzi provenienti da famiglie “normali”. Eppure sono loro i protagonisti che oggi devastano la scuola e domani finiscono nella criminalità organizzata. Cosa ci dice questo? Tante cose. La più urgente è la necessità di intervenire su due fronti, che afferiscono rispettivamente al mondo della giustizia e a quello della società.
Il primo riguarda la giustizia minorile, il “dopo”: questi adolescenti che vengono fermati che fine fanno poi? Che ne è di loro? Molti, purtroppo, torneranno a compiere violenze. Lo dicono tutte le ricerche, i dati, le statistiche. È allora indifferibile la funzione rieducativa della giustizia minorile.
Non possiamo permettere che il degrado continui, anche quando le forze dell’ordine riescono, con caparbietà e grande lavoro, a scovarli. Anche quando scatta, per fortuna, la solidarietà della comunità per raccogliere soldi e i genitori della scuola vanno a ritinteggiare. No, la giustizia riparativa è uno strumento che può essere utilizzato dall’autorità giudiziaria.
Si inviino i ragazzi stessi a riparare i danni del teppismo che hanno commesso. Sono loro che devono pulire le polveri di toner, ritinteggiare, rimettere in ordine. Perché solo così potranno rendersi conto della colpevolezza e della rilevanza sociale degli atti commessi. L’utilizzo dello strumento giuridico della “messa alla prova” può ricreare il filo che si è rotto con la società e ricucire la frattura che si è prodotta con il reato. Altrimenti non si ricucirà più.
E qui entra in gioco la seconda dimensione, ancora più importante, che viene “prima”, quella della prevenzione dove la famiglia, i servizi educativi e la scuola sono decisivi. A cominciare dall’emergenza genitoriale. Cosa ci fanno dei ragazzini fuori da soli di notte?
La cura genitoriale è assumersi la responsabilità anche del controllo, dei “no”, dello scontro, che può essere necessario nelle relazioni educative, per dare un orientamento nei comportamenti ribelli. E poi investire sulla scuola e i luoghi dove poter giocare, fare sport, luoghi dove si imparino le regole e il rispetto, nella socializzazione autentica, con la presenza di figure professionali, educatori che fungano da guida.
Non è retorica, è drammatica necessità. La dimensione dell’umano va recuperata. I ragazzi, proprio nelle fasi in cui vivono maggiore fragilità e bisogno di aiuto, sono spesso privi di adulti significativi che possano rappresentare un autentico punto di riferimento educativo. E siamo responsabili tutti perché quell’età in crescita ribelle non si trasformi in un’età adulta deviata e criminale.
E infine il tema di fondo. Le forze dell’ordine hanno affermato di non aver trovato in quei ragazzi traccia di emozione, vergogna o pianto, dopo l’arresto, ma addirittura strafottenza. Questo è un nodo gravissimo: l’incapacità di conoscere e vivere i sentimenti.
In quella fase delicata e disorientata che si chiama adolescenza si compiono le trasformazioni più importanti. L’infanzia è alle spalle e l’età adulta si affaccia prepotentemente attraverso la modifica del proprio corpo, ma anche del proprio bagaglio emotivo. Nella famiglia soprattutto, ma anche nella scuola o in altri luoghi deputati all’educazione molti ragazzi non ha avuto modo di imparare ad avere cura della loro vita, dei loro progetti, e capire chi vorrebbero diventare “da grandi”.
Quali i modelli? Quali gli esempi? L’analfabetismo sentimentale diffuso. Educare ai sentimenti significa innanzitutto essere posti nelle condizioni di saper ascoltare la propria vita emotiva, riconoscerla, cercare di scoprirne il senso. E soprattutto implica la possibilità di assumere la responsabilità delle scelte che si compiono in conseguenza di ciò che si prova. Partendo da qui possiamo ancora tentare di fare qualcosa.