Vanna Iori

Su Dire: “Comporre una vita. Le differenze di genere nella terza età”

Su Dire: “Comporre una vita. Le differenze di genere nella terza età”
11/02/2017 | Categorie: Anziani, Dire, Media Press


Il mio articolo di oggi, sabato 11 febbraio 2017, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

La terza età. Al di là delle differenti connotazioni che può assumere, è comunque il risultato di una vita costruito in precedenza, di una storia fatta di esperienze e decisioni. È l’epilogo di un qualcosa che è stato e che durante l’invecchiamento si differenzia in base alle condizioni di salute, alla situazione economica, alle reti familiari, alle amicizie, agli interessi.

Il tempo dell’invecchiamento è perciò sempre emotivamente connotato: scorre in fretta nei momenti di gioia, si arresta nell’angoscia, non passa mai nell’attesa e nella noia.

Invecchiare, soprattutto, non è uguale per uomini e donne. Non è appropriato parlare di vecchiaia maschile o femminile tout court (poiché si tratta sempre di un “maschile plurale” e di un “femminile plurale”), ma si possono individuare alcuni denominatori ricorrenti tipici per gli uomini o per le donne.

La vecchiaia maschile, per esempio, è maggiormente contraddistinta da depressione (più numerosi, non a caso, i suicidi tra gli uomini anziani, secondo i dati Istat) perché la centralità del lavoro nella vita dell’uomo è molto forte e il pensionamento coincide, di conseguenza, con un’inattività forzata che sbiadisce i colori dell’esistenza sottraendole il senso che aveva precedentemente.

La concezione della vecchiaia come condizione “residuale”, stabilita a partire da un momento di svolta preciso e repentino, il pensionamento, ricalcata sul modello dell’identità maschile, è tuttavia – anch’essa – in parte superata nella società post-industriale, dove si prospetta un passaggio più complesso e articolato.

Per esempio oggi il passaggio dalla condizione di lavoratore a quella di non lavoratore è propria di ogni età. Le profonde trasformazioni in atto nei macroscenari economici, negli assetti sociali e lavorativi della nuova complessità, nella crisi che attanaglia il nostro momento storico, investono anche l’esistenza delle persone anziane e le relazioni intergenerazionali nei contesti familiari e professionali.

La perdita di stabilità e linearità aumenta l’incertezza. L’insicurezza pervade ogni età della vita; e, in quella senile, si manifestano nuove fragilità e precarietà economiche ed esistenziali per uomini e donne.

Se la struttura socio-economica dell’età industriale ha consegnato alla cultura del nostro tempo lo stereotipo dell’uomo anziano “improduttivo” e quindi “spettatore” della vita altrui, privo di protagonismo e della possibilità di decidere le piccole e grandi scelte che lo riguardano, questa dimensione appartiene ancor più marcatamente alle donne, “spettatrici” da sempre della vita professionale maschile, custodi del focolare ed estromesse dal protagonismo produttivo.

Per questo alle donne è stato attribuito un migliore adattamento alla vecchiaia in quanto preparata da tutta una storia di vita fondata sulla dedizione alla famiglia, vissuta nella debolezza sociale, nell’invisibilità culturale. Secondo questa concezione i punti di debolezza dell’età precedente (la marginalità rispetto al mercato del lavoro, la completa assunzione del carico familiare) diventano punti di forza della senescenza.

Questa interpretazione è in parte condivisibile, ma solo in parte, e sempre meno, soprattutto per le nuove coorti di anziane che assumono una pluralità di ruoli e compiti: continuano a condurre l’organizzazione quotidiana di una famiglia che si è fatta sempre più complessa, che fa riferimento a loro chiedendo alle donne anziane di riuscire ad essere contemporaneamente madri, nonne, figlie.

I punti di forza dell’invecchiamento nell’esistenza femminile non consistono, a mio parere, nella perpetuazione del tradizionale ruolo di cura delle persone, ma nella capacità di cambiamento, di affrontare i mutamenti nei percorsi “interrotti” delle loro storie di vita.

Nell’invecchiamento femminile, dunque, non è tanto il vissuto di continuità a rappresentare un vantaggio, quanto l’esperienza vissuta della discontinuità. E la capacità di adattarsi a più ruoli, di rispondere a più situazioni. Uomo o donna che sia, la terza età è periodo di componimento.

Mary Chaterine Bateson in “Comporre una vita” indica la vecchiaia non come “ciò che resta” di un percorso temporale ormai giunto al temine, come un tempo immoto, concluso e improduttivo, ma come un’età che, attraverso gli eventi della propria storia esistenziale, ha portato la persona anziana a comporre la sua vita.

Scrive l’autrice: “Comporre una vita significa reimmaginare continuamente il futuro e reinterpretare continuamente il passato per dare un significato al presente. Il passato legittima il presente e le orme incerte che conducono al presente indicano i sentieri per il futuro”. Costruire la nostra terza età, fin da subito, è il miglior investimento che possiamo fare nel presente. Per il futuro. In ogni età della vita.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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