Educatori non ci si improvvisa: ecco una legge per valorizzarli
Il mio nuovo articolo uscito oggi sull’Huffington Post.
Nelle case-famiglia, ma anche nelle carceri, negli asili e nelle strutture per l’assistenza di anziani o disabili, nei servizi per la tossicodipendenza o per l’integrazione culturale. Non solo: ci sono ogni giorno anche nelle attività ludiche, animative, nelle comunità territoriali così come nella formazione aziendale e nell’inserimento lavorativo.
Si chiamano educatori – e sono oltre centomila in Italia – eppure intorno alla loro figura multiforme e complessa c’è tanta confusione e incertezza. Se dici psicologo, infermiere, commessa, taxista tutti capiscono cosa fai. Per i più invece la figura dell’educatore è quasi incomprensibile. O la collegano soltanto all’infanzia e alle attività con bambini.
Una visione incompleta che non rende giustizia a una professione che progetta, organizza, coordina e gestisce servizi e interventi di educazione formale e informale lungo tutto l’arco dalla vita: dai primi passi agli ultimi attimi, nei servizi scolastici ed extrascolastici, con adolescenti, adulti e anziani.
La cura educativa, a tutti i livelli, ricopre oggi un ruolo sempre più essenziale per l’inclusione e la tutela dei soggetti svantaggiati, per la prevenzione del disagio, per la crescita educativa in ambito familiare e della genitorialità, favorendo l’autorealizzazione e la promozione del benessere.
I mutamenti sociali ed economici in atto richiedono oggi sempre nuove competenze agli educatori e, proprio per questo, occorre una solida formazione professionale iniziale e permanente, conferendo una speciale attenzione alla condivisione dell’esperienza.
La prospettiva prioritaria della prevenzione richiede la necessità di servizi integrati, rivolti alle famiglie e ai contesti territoriali per fermare la dissoluzione del tessuto sociale e la chiusura familiare nel guscio dell’isolamento.
Ma l’aspetto professionale più importante riguarda la crescita dell’intelligenza emotiva come specifica competenza professionale. L’intelligenza e la competenza hanno bisogno del cuore per continuare ad alimentare la motivazione e l’empatia nelle relazioni delicate con persone in condizione di fragilità.
L’educazione non è un evento programmabile, perché è sempre aperto all’imprevisto, non è una traiettoria priva di senso, ma un percorso che ha sempre bisogno di un orientamento di senso. Se si perde questo, si perde la capacità di affrontare i cambiamenti, di rigenerare motivazione, di innovare e migliorare la qualità dei servizi.
Il linguaggio della vita emotiva non va confuso con un sentimentalismo sdolcinato o astratto. Al contrario, è qualcosa di concreto che dà senso alle relazioni. Perciò nei processi formativi occorre ridare dignità ai sentimenti, riconoscerli, pensarli e agirli nelle relazioni.
Proprio per questa complessità ho scelto di mettere gli educatori e i pedagogisti al centro di una proposta di legge a mia prima firma, ora all’esame della commissione Cultura della Camera, che ha l’obiettivo di riconoscere un profilo professionale alle figure di educatore e di pedagogista, in coerenza e analogia con gli indirizzi internazionali e in particolare con il Qeq, ossia con il livello europeo delle qualificazioni professionali.
Il primo indispensabile passo per conferire dignità alla fisionomia professionale è sancire innanzitutto la necessità della laurea per svolgere quel lavoro educativo che è un patrimonio che un Paese civile deve saper e voler preservare.
Ma nella proposta di legge vengono indicati anche con precisione gli ambiti occupazionali, le funzioni, i servizi pubblici e privati, le organizzazioni in cui può essere esercitata l’attività professionale, prevedendo il possesso di tale qualifica. Educatori, dopo questa legge, non ci si potrà più improvvisare.
http://www.anep.it/newsnoiep.php?pageid=2341