Vanna Iori

Violenza maschile: gli alfabeti emotivi si imparano già nell’infanzia

Violenza maschile: gli alfabeti emotivi si imparano già nell’infanzia
26/05/2022 | Categorie: Donne, Huffington Post, Media Press


Il Senato, all’unanimità, ha approvato la risoluzione sui Percorsi trattamentali per gli uomini autori di violenza; tratta di un passaggio molto importante perché afferma il principio che la violenza contro le donne non è un problema che riguarda solo loro, ma è una questione sociale e culturale che investe in grande misura la responsabilità degli uomini che la agiscono.

Si abbandona, finalmente, una visione deteriore e misogina secondo la quale sono i comportamenti femminili che generano la violenza maschile, scatenando comportamenti e istinti aggressivi. Non è così: parliamo di un fenomeno purtroppo ancora taciuto nella dimensione agghiacciante dei dati e con percentuali elevate di reiterazione che richiede, oltre alle azioni sanzionatorie, una elevata attenzione culturale e formativa contro stereotipi e  pregiudizi e, in generale, contro i rapporti asimmetrici di potere, frutto di una concezione androcentrica della nostra società.

Quindi, pur ritenendo importante la condanna e la sanzione dei comportamenti violenti, è indispensabile lavorare sul recupero degli uomini autori di violenza affinché possano cambiare la loro modalità patologica legata alla relazione con la donna. Ma, ancora più importante, è investire sui percorsi educativi e formativi fin dalla prima infanzia. Purtroppo, ogni terribile episodio di violenza che si consuma contro le donne ci conferma che questo orrore di aggressività fisica, psicologica e sessuale è agito da uomini che avevano un legame sentimentale con la vittima. Ma di quali sentimenti stiamo parlando? E il primo groviglio di nodi è proprio l’analfabetismo emotivo, l’incapacità di dare nome a ciò che si prova e di assumere la responsabilità dei comportamenti conseguenti.

Certamente la prima emergenza è combattere gli effetti sociali della violenza sulle donne, far applicare le leggi, potenziare i centri di recupero e rieducazione antiviolenza, accompagnare le vittime verso percorsi di autostima e coraggio, rieducando gli uomini violenti alla gestione sana dei conflitti, poiché l’azione più importante e duratura è la prevenzione. Per questo una parte decisiva resta l’investimento educativo, che coinvolga anche la scuola e la formazione docente ma anche ogni altra attività ludica, sportiva, artistica, culturale e che riguardi ogni aspetto dell’esistenza dei ragazzi. Dunque l’impegno sociale per far crescere bambine e bambini nel rispetto delle differenze di genere e delle pari dignità non passa attraverso la negazione delle differenze di genere ma si basa sulla considerazione delle differenze come ricchezza e risorsa culturale, relazionale, professionale, senza che la differenza si traduca in  discriminazione. Perché crescere negli stereotipi sessisti discredita la stima nelle donne in quanto persone, penetra nelle relazioni familiari, nei rapporti di lavoro, nei percorsi di carriera e contribuisce a questa ondata di inaudita violenza che ha assunto caratteri impressionanti.

Dobbiamo lavorare sull’educazione socio-affettiva e quella alla corporeità. In questo senso, la scuola dovrebbe insegnare alle ragazze a realizzare lo sviluppo di un autentico ‘progetto di sé’, soprattutto, in un mondo dove “specchio deformante” alimentato dai media, rischia di privare le ragazze di un vissuto del proprio “essere un corpo-persona”. Ma per arrivare a questo occorre che gli educatori, uomini e donne, siano i primi convinti del valore femminile. Assumere la responsabilità del proprio corpo-persona significa insegnare alle ragazze che anch’esse possono essere forti e progettare un proprio futuro, insegnando al tempo stesso ai bambini a rispettare l’altro da sé e a comprendere l’alterità. Aiutare i due sessi a superare i pregiudizi e scoprirsi nella bellezza delle differenze.

Educare alla dignità del corpo femminile fa quindi parte dell’educazione alla differenza nel cammino di crescita verso l’autenticità. E si tratta di un compito non facile, che parallelamente riguarda sempre lo stereotipo maschile: i bambini possono imparare da educatori autorevoli che si può essere ugualmente ‘virili’ senza che questo necessariamente coincida con l’esasperazione di caratteristiche come la forza fisica o la competitività. È tempo di insegnare anche ai ragazzi che per esempio la tenerezza può essere oggi una nuova virtù. Si tratta di affermare un principio politico-pedagogico che si fonda sull’idea rivoluzionaria di essere uguali per poter essere diversi. Il valore dell’uguaglianza di opportunità è dignità resta irrinunciabile, perché senza pari dignità ogni differenza rimane opposizione-inferiorità-dipendendenza. Educare alla reciprocità è dunque l’investimento da cui ripartire.

Il mio articolo per Huffington Post




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *