Vanna Iori

Su HP: “Dalla morte alla vita. Il dolore del papà di Carolina non è invano”

Su HP: “Dalla morte alla vita. Il dolore del papà di Carolina non è invano”
19/05/2017 | Categorie: Cyberbullismo, Huffington Post, Media Press


Il mio nuovo articolo pubblicato oggi, venerdì 19 maggio 2017, sul mio blog sull’Huffington Post Italia.

 

“La mia Carolina rivive in questa legge”. Dopo l’approvazione definitiva della legge per il contrasto del cyberbullismo, le parole pronunciate Paolo Picchio, padre di Carolina, che nel gennaio del 2013 si è uccisa a 14 anni perché vittima di cyberbullismo, segnano un piccolo risarcimento per una vita che si è spezzata in età giovanissima. La morte segna sempre l’interruzione di un progetto di vita, è l’antitesi della vita e perciò è ritenuta ingiusta e inaccettabile. Lo è stato così anche per Carolina e per chi, come suo padre, è rimasto in vita.

Una legge non restituisce una figlia, ma segna la piccola vittoria di un padre che non si è arreso, che ha voluto condividere il suo dolore per trasformarlo in azione affinché quello che è successo alla propria figlia non possa ripetersi mai più. Poteva scegliere l’isolamento. E invece ha scelto, con coraggio, di provare a superare quel momento terribile.

È evidente che affrontare un tema difficile e scomodo in una prospettiva vera, intelligente, discreta, solidale non è facile. È altrettanto vero che gli atteggiamenti più diffusi davanti alla morte si sviluppano innanzitutto tra i due poli di paura e fuga, da un lato, e di ricerca della spiegazione causalistica e scientifica, dall’altro.

Entrambi allontanano dalla consapevolezza del limite e ostacolano quella “educazione alla morte” che è indispensabile per una autentica “educazione alla vita”. Ma non si è mai pronti alla scomparsa di un figlio o di una figlia. Questo tipo di lutto segna una cesura, forse mai rimarginabile, tra le aspettative che i genitori avevano posto sul futuro e la fine di questa speranza. Non c’è modo per rimediare alla morte, ma c’è, forse, un modo per conviverci, per rendere più leggero il peso nel cuore.

Fino a un secolo fa la morte di un figlio, nell’ambito di un contesto caratterizzato da un elevato tasso di natalità, e di mortalità, rientrava nel novero delle possibilità. La società post-moderna, che poggia sulle scoperte della scienza e della medicina in un’ottica di allungamento dell’età della vita, vive la morte di un figlio come un evento ancora più traumatico perché meno probabile. E quando questa probabilità si fa certezza si apre un baratro emozionale profondo, accentuato dal fatto che oggi le relazioni sociali tra genitori, sono sempre meno frequenti e caratterizzate da dinamiche che molto spesso rinunciano alla dimensione della condivisione dei momenti negativi.

Viviamo nell’età dell’angoscia esistenziale, delle “passioni tristi”, impauriti fortemente di fronte all’evento della morte. Nella nostra dimensione quotidiana noi sappiamo, certamente, capiamo, conosciamo la morte che verrà, ma non siamo esistenzialmente “certi” della nostra.

Se invece ricerchiamo, in una prospettiva di autenticità esistenziale, nel silenzio interiore dell’angoscia, ci scopriamo soli davanti all’evento della nostra esistenza che è più propriamente personale, “mio”, perché nessuno può morire al posto di un altro, e sicuramente certo: il morire è presente nell’esistenza di ciascuno di noi come la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile e certa.

Trovarci davanti al nostro limite significa assumere come componente fondamentale della nostra esistenza la morte, già presente in noi nella sua ineluttabilità, e accettare il nostro destino di finitudine.

Perciò la libera accettazione della vita è anche accettazione del suo estremo poter-essere, la morte. Da questa accettazione del nostro “essere-per-la morte” può venire un atteggiamento di “accompagnamento” al morire che non sia di occultamento o di spiegazione delle cause materiali.

Questa prospettiva è impegnativa. E lo è ancora di più quando si perde un figlio in età giovanissima. Provare a calarsi in questa dimensione non è la soluzione per un genitore, ma potrebbe essere un inizio. Come quello di Paolo, un papà che oggi riga il suo volto di lacrime di commozione ma anche di orgoglio.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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