Vanna Iori

Su Dire: “Carceri, superare la dicotomia interno/esterno per una pena rieducativa”

Su Dire: “Carceri, superare la dicotomia interno/esterno per una pena rieducativa”
20/05/2016 | Categorie: Carcere, Dire, Media Press


Il mio articolo di oggi, venerdì 20 maggio 2016, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

Le sbarre. Le porte del settore penitenziario. Quelle più spesse e blindate che danno sull’esterno. Come il meccanismo delle scatole cinesi, la distanza che oggi esiste tra chi è detenuto in un carcere e chi è in libertà è stratificata. Chiusura su chiusura. Interno contro esterno. È in questa dicotomia, tutta da superare, che risiede uno dei passi decisivi per superare la visione meramente punitiva e riuscire ad affermare un’effettiva funzione rieducativa della pena.

Il carcere conserva le caratteristiche di un’istituzione totale, chiusa e separata tramite un isolamento fisico e simbolico dal contesto della società esterna. È appena il caso di ricordare che molti edifici penitenziari sono collocati ai margini delle aree urbane o addirittura sulle isole, a simboleggiare che chi lo abita si trova in situazione di emarginazione.

Questa separazione interno-esterno colloca chi sta “dentro, “detenuto”, “ristretto” in una struttura impermeabile all’esterno, a chi sta “fuori”, “in libertà”, “in sicurezza” poiché gli autori delle azioni “malvagie” e portatrici di disordine stanno, appunto, “rinchiuse”, dietro le sbarre, le mura, i fili spinati, presidiate delle garitte e dalle guardie.

Questo isolamento nei confronti del mondo esterno rende il carcere una “città nella città” dove si vive un sovraffollamento interno, dove le condizioni non sono quelle dell’abitare che caratterizza l’esterno: “là”, oltre le sbarre e i portoni metallici, dove le persone sono libere di muoversi, scegliere e vivere. L’interno non può protendersi verso l’esterno, allo stesso modo non giunge all’interno la voce del mondo esterno e il mondo esterno non accoglie e ascolta le voci dell’interno. Nemmeno le vuole conoscere.

E l’interno? Per di più un clima di violenza diffusa e di noia che si trasforma in rabbia connota l’esperienza carceraria nella quotidianità, fatta di rapporti di stretta convivenza tra estranei, senza un riconoscimento differenziante di “spazio proprio”. Non solo per le condizioni materiali di sovraffollamento che, ancorché attenuato dopo il cosiddetto “svuotacarceri”, rimane un problema, ma anche per i vissuti di degrado umano e di annullamento della persona a detenuto, espropriato della
capacità di autodeterminazione e di privacy, schiacciato dall’omologazione degli spazi, dei tempi, del cibo.

Queste condizioni non si conciliano certamente con la funzione rieducativa. Anche se al detenuto sono riconosciuti diritti fondamentali e inviolabili alla salute, al lavoro, all’istruzione e alla formazione, alla difesa, alle relazioni e all’affettività, sono purtroppo numerose le morti per suicidio, non infrequenti anche nel personale di custodia. Il gesto estremo e inquietante che è la più palese e drammatica espressione del contesto carcerario inumano.

Il questo clima emotivamente “ferito”, favorire il contatto tra l’interno e l’esterno è quindi decisivo. E può essere realizzato innanzitutto attraverso la territorializzazione della pena, un passo fondamentale, perché recidere il collegamento col territorio, la realtà locale, le famiglie, gli amici, acuisce la separatezza e i vissuti di abbandono entro il mondo spaesante, violento e disumano dell’esperienza detentiva.

Certo non è facile rispondere al disagio della detenzione, ma una via per cercare di uscire dalle ombre della depressione e della perdita di speranza di chi si sente oppresso dal passato e si vede privo di futuro è innanzitutto quella che si basa sul recupero degli affetti famigliari, dove è ancora possibile non disperderli.

Altrettanto decisiva è la funzione del lavoro, capace di dare dignità e senso alle giornate vuote. Gli strumenti ci sono. Aprire le porte del carcere, anche se solo metaforicamente, è possibile.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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