L’Europa della cura
L’esito delle prossime elezioni europee che si terranno l’8 e 9 giugno molto dirà sull’orizzonte nel quale si muoveranno coloro che si occupano di sociale. Ora siamo su un crinale. Il sistema di welfare (salute, istruzione, lavoro, pensioni) è ancora di quasi totale competenza degli stati membri ma ci sono importanti segnali di cambiamento legati a spinte politiche come a necessità storiche.
Dal 10 giugno sapremo se si continuerà ad andare avanti nella costruzione dell’Europa sociale che ancora manca. I segnali di cambiamento non sono mancati. La proclamazione del Pilastro Sociale Europeo a Goteborg nel 2017 che, tuttavia, è poco più di un enunciato e l’approvazione, durante la crisi pandemica, di misure di sostegno concrete (Resilience and recovery plan, Sure, politiche sanitarie). Ripensare il welfare richiede risorse e investimenti che non sono solo strategici per il benessere delle persone ma anche produttivi per la tenuta economica generale. In tal senso, è sufficiente ripensare alla crisi del sistema sanitario sperimentata durante la pandemia, quando abbiamo dovuto fare i conti con un dato drammatico: senza strutture adeguate e capaci di prendersi cura dei cittadini, tutto si ferma, a partire dall’economia.
Queste premesse per dire che in un quadro dove uguali diritti e opportunità sono sempre più negati a italiani ed europei, come alle persone che vengono a cercare rifugio e futuro nel nostro continente, è necessario fare uno sforzo notevole in termini di politiche e investimenti.
Fin dalla sua fondazione nel dopoguerra, l’idea stessa di un’Europa forte e unita, capace di costruire pace e giustizia per sé e nel mondo, si radica nella capacità di combattere le diseguaglianze, migliorare la qualità della vita e il benessere per i propri abitanti, attraverso servizi e prestazioni universali: la cura come paradigma di democrazia e civiltà.
Lo stato sociale è da allora un carattere distintivo ed unico della cultura europea. Non c’è “un futuro di pace fondato su valori comuni […] indivisibili e universali della dignità umana, della libertà, dell’uguaglianza e della solidarietà” ne’ “difesa del “patrimonio spirituale e morale” dell’Europa, senza assicurare a chiunque istruzione, cure sanitarie, abitazioni dignitose, assistenza, previdenza pensionistica, formazione professionale, ricerca universitaria, sostegno al lavoro e all’imprenditorialità, diritti culturali e un tenore di vita minimo in attuazione dei diritti di cittadinanza.
La grande transizione cui Europa e Italia sono chiamate, può avere successo e ricucire un tessuto di relazioni umane lacerato, assicurare la pace, rilanciare una democrazia infiacchita solo se il welfare non sarà smantellato sotto la pressione dei profondi cambiamenti che segnano il nostro tempo. Dall’allungamento della vita media come dalla precarizzazione del lavoro e della crescita di inoccupazione strutturale, dall’isolamento sociale che dilaga mentre il costo dell’abitare lievita, dallo spopolamento delle aree interne, dalle crisi climatiche alle imponenti migrazioni, fino alla perdita di fiducia nella democrazia, nascono sfide per il welfare che richiedono di ripensarne le strutture e gli attori.
Dobbiamo investire su un nuovo modello in cui siano protagoniste attive espressioni della società civile come il volontariato, il terzo settore, l’impresa sociale e dell’economia etica. Tutte realtà che affiancano e spesso suppliscono alle carenze dello Stato. Un contributo quest’ultimo da valorizzare, che può indicare la strada per un nuovo welfare solidale e universale, un modello di sviluppo in cui la “cura” sia un atteggiamento caratterizzante e non solo un sistema di prestazioni/servizi; significa rilanciare le istituzioni territoriali e di prossimità per tutto ciò che si riferisce al concetto di sussidiarietà, evitando di mascherare l’inadeguatezza delle istituzioni a svolgere il proprio compito in modo rinnovato.
Su queste linee direttrici può ricostruirsi un’Europa che sappia rilanciare il grande tema della cura, dei diritti sociali e dell’uguaglianza.