Non cambierà mai nulla per le donne senza una reale rivoluzione culturale

Non è cambiato nulla. Nonostante le nuove leggi, l’inasprimento delle pene, la definizione di specifiche tipologie, non è cambiato nulla. Ogni giorno una donna viene uccisa, e altre violentate o picchiate o segregate.
Il report aggiornato del Ministero dell’Interno parla di 109 donne uccise dall’inizio del 2021, con 93 che sono morte in ambito “familiare/affettivo” e 63 per mano di compagni o ex. Questi numeri continuano a crescere inesorabilmente e a descrivere una situazione strutturale e sistemica che coinvolge nella spirale di odio e violenza anche i bambini e le bambine.25
E la pandemia non ha fatto che moltiplicare le violenze domestiche il cui comune denominatore rimane sempre lo stesso: la sopraffazione e l’istinto di possesso contro la libertà femminile. Un fattore culturale che ha radici antiche in un contesto che definisce i generi in base a stereotipi e pregiudizi consolidati. In questo senso, violenze e abusi sono episodi che nascono in un sistema dove, purtroppo, c’è un’asimmetria nel ruolo sociale svolto da uomini e donne ritenuta scontata.
Da quando le donne hanno iniziato a uscire di casa per il lavoro sono diventate dattilografe, segretarie, dove i dirigenti erano solo uomini. Oppure lei operaia tessile, lui metalmeccanico: lavori che conservavano tracce dei tradizionali compiti differenziati in base al sesso di appartenenza.
La violenza che oggi vediamo trae dunque origine da una cultura patriarcale fondata su rapporti di potere in cui la donna è perennemente svantaggiata e considerata inferiore all’uomo. Questa percezione della differenza che si traduce in discriminazione si annida in ogni settore della vita sociale, dal lavoro alla famiglia, alla politica.
Come conferma anche la relazione approvata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, presieduta da Valeria Valente, troppe donne subiscono in silenzio, non solo le discriminazioni ma anche le violenze, nella più profonda solitudine, fino alla fine. Il 63% di chi ha perso la vita ha taciuto. Forse perché un 1 italiano su 4 pensa che lo stupro non sia una vera violenza e che le donne “se lo vadano a cercare” con i loro atteggiamenti. Forse perché per 3 italiani su 10 uno schiaffo dato per gelosia non è violenza. Forse perché chi denuncia non ha ottenuto interventi rapidi. Forse perché le autorità non sempre danno un’adeguata valutazione della violenza.
Tutti questi aspetti messi insieme dicono che certamente sono necessari provvedimenti più efficaci contro gli autori delle violenze, con il rafforzamento delle misure sanzionatorie e interdittive; un maggiore aiuto economico per le donne che dia loro la possibilità di allontanarsi dal contesto di abuso e sopraffazione; più fondi per i centri antiviolenza e le case rifugio, il sostegno psicologico e giuridico.
Ma, soprattutto, serve una rivoluzione culturale perché la violenza che alcune donne sono costrette a subire non potrà essere efficacemente contrastata finché si continuerà a non osservare o, peggio, sottovalutare le sue radici, le cause profonde e gli effetti conseguenti. Ciò significa anche non ignorare, minimizzare e non giustificare mai le violenze.
Questo dramma culturale che sminuisce o disprezza le donne inizia molto presto: già nell’infanzia e nell’adolescenza. Deve essere chiaro che non è solo la paura della pena che potrà cambiare i comportamenti violenti maschili. È la visione che deve cambiare, perché attraverso uno sguardo maschile rinnovato si potrà concepire la differenza tra i generi come un valore e un arricchimento reciproco.
Le risposte non possono dunque limitarsi a misure repressive invocate spesso come “la” soluzione. Devono fondarsi anche su percorsi formativi che, a partire dalla scuola, educhino le nuove generazioni, lungo tutte le fasi del percorso educativo, alla dimensione affettiva, rafforzando la dignità emotiva e riconoscendo i sentimenti come una parte fondamentale dei processi di relazione tra le persone.
Oggi la grande sfida dei sistemi educativi è proprio questa: tenere insieme le competenze emotive con quelle cognitive. Se vogliamo davvero trovare risposte adeguate non possiamo che partire da qui. Dalle scuole e dalla scelta di educare ai sentimenti.