Vanna Iori

Una cultura della socialità diffusa contro la violenza urbana

Una cultura della socialità diffusa contro la violenza urbana
25/10/2019 | Categorie: Bullismo, Educazione, Famiglia, Giovani, Media Press


La scorsa notte, in un quartiere vicino al centro della capitale, un giovane è stato freddato con un colpo di pistola alla testa, per aver difeso la sua ragazza nel corso di una rapina. Pochi mesi prima, un altro ragazzo aveva subito lo stesso atroce destino: vittima di un proiettile che lo ha privato dell’uso delle gambe.

Parliamo in entrambi i casi di giovani per bene, lavoratori, sportivi e studenti che nulla avevano a che fare con la violenza o la criminalità. E che sono diventati attori involontari su un palcoscenico, quello della capitale, che sta trasformando Roma in una no man’s land.

Una città, dove, anche in un quartiere popolare molto diverso dalle periferie abbandonate, si consumano tragedie come queste e dove i microcrimini aumentano giorno dopo giorno assieme alla sempre maggiore diffusione della droga, in un crescendo di allarme sociale.

Che senso assume oggi il concetto di “abitare”? O si è addirittura perduto? Perché il termine abitare dovrebbe esprimere la sicurezza, la pace, il riparo, gli  affetti e  la libertà e, invece, ci ritroviamo in nonluoghi dove si rischia anche la vita. Non si tratta, infatti, di garantire semplicemente la sicurezza attraverso le forze dell’ordine e il controllo delle nostre città, che pure è, ovviamente, necessario.

Si tratta di costruire una cultura della territorialità per contrastare i vuoti di senso e la disumanizzazione che generano violenze inattese e incomprensibili. Per questo è decisivo abitare la città come un luogo di “cura” e progettare lo sviluppo delle città come luoghi di cui prendersi cura, in sintonia con le esigenze, i vissuti, i valori.

Le città, come scrive Italo Calvino, non sono luoghi in cui si scambiano soltanto merci, ma anche parole, desideri, ricordi. Ed è proprio da Calvino che viene una importante indicazione per una pedagogia dell’abitare: “cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio”. A Roma, oggi, sembra proprio mancare questo.

Le crescenti trasformazioni negli scenari della composizione sociale, nei rapporti tra le persone  e nelle forme della partecipazione devono necessariamente aprire nuove dimensioni ai temi della cura educativa delle persone e del territorio. L’educazione alla territorialità si esprime nell’appartenenza a un contesto.

Il territorio è luogo primo dei vissuti della quotidianità e fondamento dell’abitare come possibilità di riconoscersi e di essere riconosciuti. Il radicamento rende partecipi di quella “socialità diffusa” che alimenta l’etica della responsabilità e del prendersi cura delle persone.

La frammentazione sociale si è acuita in questi anni per la diminuita importanza dei luoghi di aggregazione tradizionali, per la tendenza a privilegiare l’interno, anche la solitudine nella folla virtuale connessa nelle reti web, con il conseguente impoverimento delle reti territoriali.

Un’educazione alla territorialità  dovrebbe quindi porre in primo piano i temi della coesione, della partecipazione, della sussidiarietà come elementi essenziali per progettare scelte politiche, educative e sociali incentrate sul primato della persona. La partecipazione è fattore decisivo di educazione per un reale protagonismo dei cittadini e delle famiglie, soggetti attivi di fronte al dilagare dell’indifferenza e della violenza.

Un sistema di welfare-mix fondato sulla rete tra i servizi territoriali educativi, sociali e sanitari può alimentare cultura della domiciliarità. I nuovi problemi richiedono di porsi in un’ottica di ascolto reciproco e di tradurlo in strategie condivise.

Questo significa implementare una prevenzione diffusa che comporta crescita e rafforzamento del tessuto sociale e delle sue potenzialità positive. “Promozione” significa valorizzazione delle risorse positive esistenti anche nei contesti più difficili, presuppone che se ne riconosca il valore sociale positivo, poiché la promozione comporta forme nuove di rappresentanza sociale e culturale, la volontà di dare voce alle persone, promuovendo, oltre agli scambi di mutuo aiuto, anche forme più vaste di solidarietà e il potenziamento delle reti relazionali, favorendo l’aiuto reciproco attraverso iniziative individuali o a piccoli gruppi (degli “spazi incontro”).

E’ quindi indispensabile perseguire una politica di prevenzione diffusa, di crescita del tessuto sociale, rafforzandone la vitalità e le potenzialità. Favorire la solidarietà è un’azione che deve avvenire in costante dialogo con il territorio. Dove non si fornisca soltanto un servizio per un determinato bisogno ma si persegua un sentire eticamente orientato. Oggi se vogliamo ridare speranza alle nostre città non possiamo che partire da qui

Il mio articolo per Huffington Post




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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