All’origine delle avventure di Pinocchio c’è un gesto simbolico: vendere l’abbecedario per andare al teatro dei burattini. La scelta di un luogo totalmente “altro” dalla scuola è l’esordio delle sue disavventure.
Se Pinocchio avesse varcato quella soglia e avesse scelto l’apprendimento, forse sarebbe stato al riparo dalle successive dolorose peripezie che gli accadono “fuori”, in un “extra” apparentemente allettante (il paese dei balocchi) ma in realtà pieno di pericoli, inganni, cattiveria (Lucignolo, Mangiafuoco, il gatto e la volpe).
I recenti esiti dei test Invalsi descrivono una realtà allarmante e la difficoltà della scuola di rispondere alle urgenze di apprendimento di questo tempo.
A 18 anni uno studente su tre ha livelli insufficienti di italiano, e negli istituti tecnici calabresi il 70% dei ragazzi non sa leggere un biglietto del treno o il bugiardino di un farmaco e quasi la metà dei maturandi è “analfabeta” in matematica.
Tutti i dati, inoltre, dicono che il divario tra Nord e Sud cresce e che i progetti di regionalizzazione della scuola rischiano di allargare in modo irrecuperabile il gap.
Ci troviamo di fronte a una vera e propria emergenza nazionale. Da questo punto di vista, i test rappresentano un elemento indispensabile di valutazione del sistema formativo che soltanto una politica irresponsabile potrebbe ignorare.
Privarsi di uno strumento di rilevazione come questo farebbe aggravare la crisi desolante del sistema. I risultati dei test, infatti, aiutano a orientare le scelte dei decisori politici, mettendo in campo soluzioni aderenti alla realtà. Ma forse questo esecutivo non solo non è interessato a fare i conti con la verità e l’oggettività delle cose, ma è anche poco interessato a investire sui saperi, sulla conoscenza e sulle competenze.
Si tratta di aspetti della vita pubblica, infatti, che non hanno un ritorno immediato di consenso e che non sono spendibili sul facile terreno della propaganda. Nella società del tutto e subito, non c’è tempo per pensare al domani.
Ma se continuiamo su questa strada, il domani sarà un Paese desertificato culturalmente, con giovani adulti incapaci di stare al mondo e senza le competenze necessarie richieste da un mercato del lavoro in continua evoluzione e stravolto dalla rivoluzione digitale.
Ragazzi che non sono capaci di osservare la realtà e di elaborare delle valutazioni di senso compiuto, privi di strumenti per organizzare le informazioni, poichè formano la loro opinione e costruiscono esperienze sulla rete, ossia su luoghi disintermediati e finti dove la passività dell’utente accresce la mancanza di senso critico e di spirito propositivo. E oggi il web è il luogo dove gli studenti trascorrono ore e ore della loro giornata.
Ieri l’Unione Europea ha ribadito la nostra difficoltà a crescere, a produrre -dunque – benessere e sviluppo. Ma crescita, lavoro e sviluppo si potenziano attraverso investimenti massicci su istruzione e formazione: dalla valorizzazione di insegnanti e dirigenti scolastici, all’estensione del tempo scuola, dal rinnovamento degli edifici, agli investimenti sull’educazione digitale e sul rapporto tra scuola e lavoro.
Di fronte a una simile emergenza nazionale non si può di far finta che non stia succedendo nulla, ma occuparsi immediatamente di un problema che rappresenta il primo ostacolo anche per l’esercizio stesso della democrazia.
A meno che l’obiettivo di addormentare le coscienze e sedare lo spirito critico corrisponda proprio al tentativo di celare all’opinione pubblica il proprio operato.
Ma attenzione, perchè quando ha toccato il fondo delle disavventure, nel ventre della balena, Pinocchio si trasforma in un bambino vero: come dire che l’accesso al sapere gli avrebbe evitato forse molti guai.