Vanna Iori

Se la politica del consenso vince sulla politica dello sviluppo

Se la politica del consenso vince sulla politica dello sviluppo
19/09/2018 | Categorie: Giovani, Huffington Post, Media Press, Scuola


Il governo intende il cambiamento come un salto indietro nel tempo e la giustizia sociale come un’omologazione verso il basso. Questa impostazione, se applicata ai saperi, alla conoscenza e alla cultura, rischia di creare un drammatico corto circuito, producendo un arretramento che saranno le future generazioni a dover pagare. Del resto, la maggioranza giallo-verde immagina l’impegno verso il Paese come una strategia permanente per conquistare il consenso “tutto e subito”, in un eterno presente, senza progettare alcun disegno a lungo termine che dia risposte ai ragazzi. Questo, invece, dovrebbe essere l’ obiettivo primario di ogni governo responsabile.

Investire le poche risorse che abbiamo a disposizione solo nelle pensioni o in forme di reddito scollegate da qualsiasi seria e concreta ipotesi di reinserimento nel mondo del lavoro priva il Paese della possibilità di crescere, in termini di sviluppo e conoscenza.

Sulla scuola il tentativo appare chiaro: tornare all’epoca dei saperi standardizzati che non considerano le differenze territoriali, le professionalità dei docenti e le attitudini degli studenti. In un mondo che si sta trasformando in fretta e che richiede nuove competenze per trovare lavoro nell’economia dell’innovazione, il governo compie scelte che riportano la scuola agli anni ’50 e che cancellano con un tratto di penna il percorso di anni. È come pensare di poter fermare uno tsunami con un ombrello.

Nel report New Vision for Education, elaborato dal World Economic Forum, si definiscono gli strumenti che consentiranno al settore dell’educazione di stare al passo con il cambiamento, abituando gli studenti ad acquisire rinnovate capacità, che vadano oltre il solo studio della storia o della matematica. Oggi, il sistema educativo deve necessariamente essere in grado di garantire l’acquisizione di nuove competenze, come la capacità di stare nel cambiamento e sviluppare il pensiero critico, che diventano cruciali in un mondo che sta affrontando straordinari mutamenti socio-culturali, oltre che tecnologici e digitali.

In questo quadro, dunque, appare sconsiderata la volontà di ritornare a una scuola centralizzata che non punti sull’autonomia come strumento di potenziamento dell’offerta formativa delle scuole, che rinunci alla valorizzazione del sapere extra-scolastico e alla valutazione come mezzo per definire strategie di miglioramento delle singole scuole e del sistema. Ed ancora più sconsiderata sembra la volontà di non investire sulla formazione dei docenti, trasformando questo lavoro pedagogico ed educativo in una mera attività impiegatizia, configurata come trasmissione di nozioni.

Ma davvero crediamo di poter far crescere questo Paese senza investire sui saperi? O forse trasformare i cittadini in sudditi è la scelta che sottende allo scarso investimento di risorse sugli strumenti che consentirebbero loro di conoscere, valutare, scegliere.

Se la cultura rende liberi, la libertà di pensiero, la capacità di comprendere processi complessi, la creatività e la possibilità di immaginare un futuro migliore, non possono che spaventare un governo che trae ogni giorno vantaggio dalla paura, dall’omologazione al ribasso e dall’ignoranza.

 

Il mio articolo per Huffington Post




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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