Vanna Iori

Perché un Ministero sulla Disabilità rischia di essere un preoccupante passo indietro

Perché un Ministero sulla Disabilità rischia di essere un preoccupante passo indietro
04/06/2018 | Categorie: Diritti, Disabilità, Huffington Post, Media Press


Il nuovo governo prevede un Ministero della Famiglia e della Disabilità e già questa denominazione è preoccupante perché rimanda all’idea di una centralità della patologia, dalla disabilità, mettendo in secondo piano tutti i passi fatti negli ultimi decenni per affermare una cultura delle “persone” con disabilità. La centralità della persona (non ci dovrebbe essere più bisogno di ribadirlo) implica il rispetto per i suoi progetti, in qualunque situazione di vincoli e limiti essi vengano concepiti. Se le politiche ruotano attorno alle condizioni di differenza intesa come discriminazione, dove finiranno le politiche di inclusione?

La preoccupazione è accresciuta dalle dichiarazioni del neo-ministro Fontana che ha già indicato, tra i suoi propositi, la rivisitazione della legge 112/16 sul “dopo di noi”. Spero intenda investire sulle risorse umane, professionali, economiche per dare sempre più dignità e accompagnare i percorsi personalizzati previsti dalla legge. Altrimenti si tratterebbe di un preoccupante passo indietro che sovvertirebbe un principio democratico fondamentale in cui l’autentica relazione di cura non si riferisce a un corpo-organismo ma a un corpo-persona, con i sui desideri, le sue ansie, le sue rabbie e i suoi affetti.

La legge sul dopo di noi ha portato la speranza per costruire percorsi che possano contrastare la solitudine e l’emarginazione delle persone con disabilità, quando viene loro a mancare il sostegno familiare (poiché alla morte dei genitori l’86% di esse termina la sua esistenza in strutture impersonali e totalizzanti). La legge ha portato invece un investimento sul riconoscimento al diritto delle persone con disabilità a vedersi riconosciuta la specificità individuale e la dignità di una vita accompagnata e aiutata, rispettosa della differenza.

L’importante concetto di domiciliarità con le sue implicazioni culturali, sanitarie, cognitive, etiche e politiche ha rappresentato un passaggio importante per la deistituzionalizzazione e per guardare queste persone con uno sguardo nuovo. Si tratta di un cambiamento culturale enorme che comporta un riconoscimento dei limiti e dei vincoli, ma anche la dimensione della possibilità e del progetto: progetto di sè da realizzare coinvolgendo famiglie, istituzioni, comunità territoriale, imprese per progettare percorsi di autonomia, appartamenti di cohousing, spazi di progetti di vita e non di segregazione.

Finalmente, abbiamo messo al centro non la disabilità come problema ma la persona come “soggetto” e non “oggetto” di cura. Una persona concreta, singola, irripetibile, e in diritto di perseguire un suo progetto di vita personalizzato. Questo è un passaggio fondamentale che segna un cambiamento culturale straordinario per le persone con disabilità e le loro famiglie. Bisognerebbe quindi aumentare le risorse e non certo abbandonarlo, riconsegnando la disabilità alla semplice dimensione patologica.

Il principio di “unicità” delle persone con disabilità implica il rispetto della dignità dell’individuo che è autentica garanzia della democrazia. Fare passi indietro sarebbe grave. Incrinerebbe una concezione di welfare solidaristico e riporterebbe quelle barriere psicologiche, prima che materiali, che ledono il rispetto delle fragilità e delle esistenze ferite. La democrazia si esercita nell’incrementare una cultura di accoglienza diffusa che sappia andare dal problema alle proposte, dall’esperienza ai cambiamenti, dai vincoli alle possibilità.

Il mio articolo su Huffingtonpost




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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