Vanna Iori

Su Huffington Post: “Cosa ci fa un bambino in carcere?”

Su Huffington Post: “Cosa ci fa un bambino in carcere?”


Il mio nuovo articolo pubblicato oggi, lunedì 23 ottobre 2017, sul mio blog sull’Huffington Post Italia.

 

La colpa – se così si può definire quando si parla di bambini che hanno pochi mesi di vita o al più qualche anno – è stata quella di nascere o vivere i primi anni nel momento sbagliato. Quello che ha visto la propria madre, in molti casi giovanissima, varcare le porte del carcere, che si sono chiuse alle sue spalle per scontare una pena detentiva.

In braccio o accompagnati per mano, anche loro sperimentano quotidianamente la vita dietro le sbarre, dove la libertà di percorrere gli spazi domestici o i luoghi esterni, i prati, i marciapiedi o i tragitti è assente e dove, soprattutto, non può esservi quella spensieratezza che anima i luoghi tradizionali dell’infanzia, dall’ambiente familiare a quello scolastico.

Come ha recentemente ricordato un’inchiesta del Corriere della Sera, basata sui dati del Ministero della Giustizia, sono 60 i bambini – da 0 a 6 anni – che vivono da detenuti insieme alle loro madri nelle carceri italiane. Sono 31 madri straniere e 21 italiane.

Un numero importante perché quei 60 bambini vivono restrizioni che peseranno nella loro crescita e nella loro vita da adulti. Questi bambini non vanno dimenticati. Per loro va costruita necessariamente un’alternativa, anche se spesso questa alternativa si rende più difficile perché il padre è in carcere o assente o non è in condizione di accudire il figlio per motivi diversi.

Fatto sta che questi bambini crescono sì con la presenza quotidiana della propria madre, ma allo stesso tempo hanno a che fare con una realtà che è la negazione stessa dell’infanzia: la detenzione. Da dove ripartire? Il modello delle Icam (Istituti a custodia attenuata per madri detenute) costituisce sicuramente un primo passo in avanti ma non ovunque presente. Inoltre sono delle strutture detentive più leggere, ma pur sempre strutture penitenziarie.

Istituite in via sperimentale nel 2006 per permettere alle detenute madri che non possono beneficiare di alternative alla detenzione di tenere con sé i figli, sembrano “quasi” asili, magari con corridoi colorati, agenti in borghese e senza celle. Ma restano pur sempre un carcere, dato che non si può uscire e ci sono le sbarre alle finestre. E di notte ridiventano celle.

Occorre potenziare le forme alternative alla detenzione. È necessario, per esempio, che il giudice abbia la possibilità di estendere la permanenza in case protette alla madre con figli anche di età superiore ai dieci anni, per assicurare un più equilibrato sviluppo del minorenne che necessiti di ulteriori cure materne.

Le case-famiglia protette devono poi essere realizzate fuori dagli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psico-fisiche dei bambini, ispirandosi ai criteri prioritariamente desunti della prospettiva educativa e rieducativa.

In primo luogo è quindi evidente la necessità, all’interno di queste strutture, di personale con competenze pedagogiche e psicologiche per l’infanzia, per garantire la priorità degli aspetti educativi. In secondo luogo s’individua la necessità di un ambiente interno (arredi, abbigliamento, spazi) adatto alle esigenze dei bambini e al rapporto materno, comprendente aree ricreative dedicate al gioco, anche all’aria aperta, strumenti di controllo compatibili con la prevalente esigenza di tutela del minore e, per quanto possibile, non visibili o percepibili dallo stesso: adozione di vestiario adeguato da parte del personale operante nelle strutture, con esclusione dell’utilizzo di divise e uniformi.

Devono essere inoltre assicurati i rapporti con strutture educative esterne e la frequentazione di coetanei, stipulando anche apposite convenzioni con gli enti locali, i Comuni o le associazioni di settore per accompagnare i bambini presso asili nido, scuole dell’infanzia o scuole primarie.

Le strutture educative che consentono di giocare e apprendere nei luoghi condivisi costituiscono importanti momenti di contatto con il mondo extra-carcerario, dove il diritto fondamentale all’educazione trova momenti di arricchimento e, in molti casi, di tregua serena nella precoce durezza esistenziale.

Tutti i ministri della giustizia che si sono succeduti hanno promesso di eliminare questa situazione disumana. Ma nessuno ancora lo ha realizzato. Quanti bambini dovranno ogni anno ancora passare dietro le sbarre i primi anni della loro esistenza nel precoce contatto con il dolore e la rabbia della detenzione?




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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