Vanna Iori

Su HP: “Quegli ombrelli sono una triste metafora del ruolo della donna nella società”

Su HP: “Quegli ombrelli sono una triste metafora del ruolo della donna nella società”
04/07/2017 | Categorie: Donne, Huffington Post, Media Press


Il mio nuovo articolo pubblicato oggi, martedì 4 luglio 2017, sul mio blog sull’Huffington Post Italia.

 

In piedi, rigorosamente alle spalle di chi sta seduto. Pioggia o sole che sia, poco importa: a loro è stato destinato un solo compito, cioè tenere l’ombrello in mano per riparare i relatori sul palco. Quello che è avvenuto a Sulmona, in Abruzzo, in occasione di un evento promosso in piazza, rende con efficacia sconcertante la distanza che separa le donne dai ruoli di potere.

Le hanno chiamate “ombrelline”, un vezzeggiativo che fa male non solo a quelle donne ma a tutte e a tutti. Perché da dell’esclusione a perdere non è solo il genere femminile, ma l’intera società. Ancora una volta pregiudizi e stereotipi mettono in bilico la parità di genere e sprecano talenti, competenze, intelligenze, ridotti a un rango inferiore.

Quella fotografia di donne in piedi ha fatto il giro della rete ed è finita sui giornali e sui tg nazionali. È la foto di una sconfitta che ritrae i ruoli di genere e le disparità che faticosamente occorre abbattere ogni giorno, a causa di tutti i condizionamenti culturali che ancora caratterizzano i processi formativi dell’identità femminile. La consapevolezza di sé non sempre si alimenta nel processo di crescita se si vede mortificato il diritto ad avere parola. Non “dire” ma “essere dette” da parte maschile.

I condizionamenti della cultura androcentrica hanno reso difficile, per le donne, esprimere la propria corporeità al di fuori degli schemi ai quali esse vengono tuttora continuamente ricondotte. Nelle immagini di sé la donna reale e concreta si trova già consegnata a un’identità codificata dai media.

Se, come leggiamo in E. Badinter, XY è la condizione prima dell’essere umano maschile e XX la condizione prima dell’essere umano femminile, esse non bastano però a caratterizzare i due generi.

L’identità maschile e femminile non è data dalla sola biologia o dalla neurofisiologia quando riconosce che nei due sessi vi è una differente conformazione cerebrale e che anche gli atti cognitivi hanno una propria sessuazione. Fino a che queste differenze non saranno state elaborate in un pensiero di valorizzazione di entrambi i sessi, non si potrà leggere e interpretare il cervello e il corpo come progetto libero e autonomo per ogni persona.

Eccezioni che hanno sfondato il “soffitto di cristallo” invisibile ma resistentissimo sono modelli ancora poco diffusi e poco noti per le ragazze di oggi. Del resto neppure la lingua ci aiuta. Alcune professioni non hanno nemmeno il nome al femminile (chimica, presidente, giornalista, giudice…). I ruoli maschili sono espressione del decidere, del pensare, del governare. Alle donne non resta che reggere l’ombrello.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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