Vanna Iori

Su Dire: “La violenza assistita. Imparare a cogliere precocemente i segnali”

Su Dire: “La violenza assistita. Imparare a cogliere precocemente i segnali”
28/05/2017 | Categorie: Dire, Genitorialità, Media Press, Minori


Il mio articolo di oggi, domenica 28 maggio 2017, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

È una violenza che non si vive sulla propria pelle fisicamente, ma che fa altrettanto male, se non di più, rispetto alle percosse, agli schiaffi, agli sputi, a tutto quell’universo esecrabile che degrada le relazioni. Si chiama violenza assistita ed è quella che ferisce oltre 400mila minori in Italia tra quelle mura domestiche che dovrebbero garantire protezione, affetto, calore. Questa violenza fa altrettanto male perché, anche se non si manifesta con lividi e ferite, ha la capacità di penetrare in un bambino o in un adolescente in modo a volte indelebile.

La violenza assistita è da considerarsi a tutti gli effetti una forma di maltrattamento perché obbliga ad assistere ad atti di aggressività, abuso e violenza fisica, verbale, psicologica o sessuale contro altri membri della propria famiglia, genitori o fratelli, più spesso la madre, cioè contro persone di riferimento o comunque figure affettivamente significative. In queste situazioni i più piccoli sono costretti a vivere, percependo il costante clima intimidatorio e il pericolo per la vittima a cui sono legati affettivamente.

Nell’immediato si osservano nel bambino manifestazioni di disagio, depressione, isolamento, svalutazione di sé, ma anche un senso di colpa per la situazione in cui si sente impotente e incapace di intervenire. Nel lungo periodo aumenta il rischio della riproducibilità, ossia la tendenza a sviluppare comportamenti violenti in età adulta, assumendo la violenza come legittimo strumento relazionale. Molte ricerche attestano che gli uomini che hanno assistito durante l’infanzia a episodi di violenza domestica hanno maggiori probabilità di diventare maltrattanti verso la partner.

Ma le prime vittime di questa forma di violenza non sono i figli. Sono le madri. Una madre maltrattata è una donna che subisce traumatizzazioni in genere croniche. E la violenza, soprattutto se protratta nel tempo, oltre a danni fisici può produrre una vasta gamma di sintomi.

La violenza domestica, in misura diversa a seconda della sua gravità, danneggia le competenze genitoriali, influenzando fortemente la relazione con figlie e figli e può determinare effetti dannosi – a breve, medio e lungo termine – che investono le varie aree di funzionamento: psicologico, emotivo, relazionale, cognitivo, comportamentale e sociale. Si possono configurare diversi quadri diagnostici acuti o cronici a origine post-traumatica, con diversi tempi di insorgenza.

Il comportamento del maltrattante stravolge la vita della madre limitandone la libertà e l’autorevolezza, modificando il modo in cui la stessa accudisce i figli e si rapporta con loro. Una madre maltrattata è una madre ferita e spesso l’esigenza di autoproteggersi e la necessità di sopravvivere non le permette di ascoltare i segnali di sofferenza dei figli.

La percezione da parte delle donne del danno prodotto dalla violenza assistita sui bambini avviene solo con il tempo e dopo un percorso riabilitativo. L’educazione, l’informazione e il sostegno alla genitorialità assumono quindi un ruolo determinante, sia nella fase preventiva che in quella successiva di uscita dalla violenza, di recupero e di elaborazione del trauma subito.

È quindi necessario attivarsi per contrastare questa forma di violenza. Ho presentato una mozione alla Camera che impegna il Governo a predisporre un sistema di raccolta dei dati e di monitoraggio su questo fenomeno. La mozione, inoltre, impegna l’esecutivo a realizzare una campagna informativa per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema, a favorire le buone pratiche già messe in campo da servizi, enti e associazioni antiviolenza per migliorare la consapevolezza educativa e l’assunzione di responsabilità da parte dei genitori come fattori di prevenzione degli episodi di violenza difronte a bambini e adolescenti.

Il ruolo dell’educazione è centrale. I casi di violenza assistita possono presentarsi agli operatori come richiesta diretta di aiuto per la violenza o in forma mascherata con altre motivazioni o su segnalazione di terzi. Le situazioni possono presentare caratteristiche diverse rispetto all’urgenza e alla gravità.

È indispensabile distinguere le situazioni conflittuali (senza negare i danni che da queste possono derivare a bambini e bambine) dalle situazioni di violenza e maltrattamento, evitando di identificare come conflitto o litigi tra partner situazioni dove avvengono atti e/o comportamenti maltrattanti e violenti sulla madre, anche gravi e reiterati. Una volta accertati, questi casi vanno affrontati precocemente, perché nessuno abbia la possibilità di perpetrare ancora questa violenza.

La presenza capillare sul territorio di luoghi di ascolto e sostegno (in collegamento continuo sia sul piano delle pluricompetenze sia sui livelli tra chi lavora con gli adulti e chi accompagna il recupero infantile) può essere determinante nel fornire in tempi brevissimi informazioni e supporto a chi sta vivendo il dramma sommerso della violenza assistita.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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