Vanna Iori

Su Dire: “Ripensare le differenze di genere per ripensare la politica”

Su Dire: “Ripensare le differenze di genere per ripensare la politica”
25/02/2017 | Categorie: Dire, Donne, Media Press, Politica


Il mio articolo di oggi, sabato 25 febbraio 2017, pubblicato sulle pagine dell’agenzia di stampa Dire.

 

Il titolo di questa riflessione nasce spontaneo guardando al dibattito che sta animando il Pd in vista del congresso e, più in generale, la politica italiana, dove le donne fanno fatica ad emergere nei ruoli di “guida”. È doveroso interrogarsi su questo tema non solo per prendere atto dello scenario attuale, ma anche e soprattutto per cercare strade percorribili e utili a ribaltare questo quadro.

Le leve del comando sono ancora saldamente in mani maschili nella politica, nell’economia, nel top management. Un ragionamento che non può e non deve essere rinchiuso nei paletti delle quote rosa. Il discorso va allargato al valore della cultura femminile.

Virginia Woolf, nel breve saggio “Pensieri di pace durante un’incursione aerea”, scrive: “Lassù in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. I difensori sono uomini, gli attaccanti sono uomini. Le donne possono combattere con il pensiero per liberare dalla mentalità e dall’educazione alla guerra, anche se questo è “andare contro la corrente”.

La Woolf pone per prima la questione della differenza di genere, mettendo in risalto le specificità del femminile. In un’epoca in cui i compiti e le mansioni maschili e quelli femminili sono sempre più intercambiabili, possiamo vedere che per fortuna molti uomini, tra mille contraddizioni, incertezze e mistificazioni, stanno cercando percorsi identitari che mutuano pratiche e saperi dal femminile.

La casa, i figli, le funzioni educative e domestiche non sono più soltanto il regno/prigione delle donne, ma coinvolgono un numero crescente di mariti e padri, soprattutto nelle nuove generazioni. Questi mutamenti nel costume presuppongono una crescita cognitiva e affettiva da parte degli uomini nella dimensione dell’aver cura e rafforzano le scelte delle donne che hanno elaborato e praticato tale dimensione.

Ripensare la differenza o le differenze e le identità – non in termini di separatezza oppositoria ma di pluralità, complessità e poliedricità – arricchisce la donna e l’uomo liberando in entrambi la possibilità e la capacità di esplorare modi di essere non forzatamente riconducibili agli schemi precostituiti.

Ripensare la categoria della differenza è un’operazione culturale che rimette in discussione la logica tradizionale e consente di scoprire nell’alterità significati e valori nuovi, allargando gli orizzonti di conoscenza e di esperienza.

Ripensare la differenza significa porre in nuovi termini anche la questione dell’uguaglianza. È infatti evidente che la differenza, per potersi esprimere, ha bisogno dell’uguaglianza, valore irrinunciabile per impedire alla differenza di trasformarsi in discriminazione o subalternità.

Allo stesso modo l’uguaglianza, qualora prescinda dal valore della differenza, assume il carattere di omologazione e di disconoscimento nei confronti di ogni legittima aspirazione al riconoscimento della propria specificità e identità. La differenza e l’uguaglianza non possono quindi essere pensate separatamente. “Si è uguali in quanto riconosciuti come diversi”.

Le affermazioni sulla differenza rappresentano una svolta rispetto ai precedenti movimenti femministi che si basavano sull’uguaglianza e su una logica emancipazionista e rivendicazionista: “Le donne sono uguali agli uomini?”. La questione era in realtà mal posta sul piano concettuale.

Anche se l’uguaglianza ha aperto la stagione dei diritti per le donne, ha mantenuto il dominio storico del modello maschile e l’imitazione, da parte delle donne, determinando spesso una negazione della propria identità, un occultamento di tutto il patrimonio di cultura, valori, sapere che la storia “invisibile” femminile ha prodotto, soprattutto nella cultura della cura.

Certamente il valore della differenza ha messo in discussione la logica che aveva posto il femminile nella condizione di alterità e quindi di inferiorità o subordinazione. Da un lato la donna è stata infatti relegata agli aspetti più sconcertanti, desiderabili e temibili della sessualità: la carne, il peccato, la perdizione.

La polarità opposta l’ha resa quasi angelicata, avvolta nel mistero della maternità. Eva, Pandora, Lilith, oppure Madonna, Demetra: questi archetipi nella cultura greca e cristiana mostrano quanto sia ancora difficoltoso per le donne raggiungere ed esprimere una matura valorizzazione della propria differenza, ancora oscillante tra dipendenza e autonomia.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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