Vanna Iori

Sull’Unità “Contro il cyberbullismo torniamo a parlare guardandoci negli occhi”

Sull’Unità “Contro il cyberbullismo torniamo a parlare guardandoci negli occhi”
07/02/2017 | Categorie: Cyberbullismo, Giovani, L'Unità, Media Press


Martedì 7 febbraio 2017, in occasione del Safer Internet Day, la giornata mondiale per la sicurezza in Rete, il sito dell’Unità ha pubblicato online una mia riflessione dal titolo “Per combattere il cyberbullismo torniamo a parlare guardandoci negli occhi“.

Ecco la trascrizione integrale.

Ci sono fiumi di parole, abbreviazioni, emoticon che ogni giorno scorrono sugli smartphone e sui pc dei ragazzi e delle ragazze. Whatsapp, Facebook Messenger, chat di ogni tipo dove rigurgitano parole scritte nell’onnipresenza sulla Rete, la piazza virtuale dove esserci sempre è diventato per adolescenti e preadolescenti sinonimo stesso di esistere.

Connessi a tutte le ore del giorno. In contatto con decine e decine di coetanei e non, con il telefono in mano, in relazione, da soli, con il mondo. È in questa solitudine che risiede il pericolo più grande per gli adolescenti, come mettono in evidenza tutti i dati resi dagli studi sull’utilizzo di Internet in occasione della giornata nazionale sul cyberbullismo (il Safer Internet Day).

È una solitudine, quella dei giovani oggi, dove le parole non dette sono tante. Quelle che non si riescono a pronunciare per paura o per vergogna e che permettono ai bulli di avere la meglio in una relazione virtuale dove la solidarietà si trasforma in ostilità denigratoria: il branco contro la vittima da deridere e umiliare nascondendosi dietro la violenza di parole scritte, immagini, video.

Le conseguenze gravi e imprevedibili sono fuori controllo perché, escludendo la comunicazione non verbale, scompare la possibilità di cogliere le reazioni della vittima nella sua persona corporea e nelle espressioni del suo viso su cui leggere i sentimenti provocati; l’anonimato rende i bulli più disinibiti e aggressivi e le vittime più impotenti per le quali diventa difficile reagire, parlare, rispondere. Le azioni online hanno effetti nella vita reale.

Le cronache dei nostri giorni sono piene di storie di ragazzi e ragazze vittime del cyberbullismo. E certo sono importanti i progetti messi in campo da istituzioni, associazioni, scuole e altre agenzie educative, così come sarà importante l’approvazione definitiva in Parlamento della legge per il contrasto del cyberbullismo che punta in modo prioritario sull’educazione e sulla prevenzione. Le leggi sono importantissime perché servono, aiutano a produrre azioni virtuose, ma quando parliamo di cyberbullismo dobbiamo soffermarci innanzitutto sul vissuto.

Il vissuto di chi è bullo sulla Rete e di chi ne è vittima è fatto di sentimenti contrastanti, emozioni amplificate, necessità di estremizzare, in positivo e in negativo, le ore, sempre più numerose, passate davanti al cellulare o al computer in Rete e in particolare sui social network.

Qui vivono le parole scritte di chi attacca e offende, parole che possono spingere la vittima anche a comportamenti estremi come il suicidio, ma risiedono anche le parole ingoiate di chi subisce minacce e derisioni. Parole che trovano ancora troppo raramente la capacità di farsi forza, trasformarsi in risposta o in richiesta di aiuto, ma che vengono travolte dalla violenza verbale del singolo o del gruppo che ha preso di mira un soggetto più fragile.

Questa solitudine va prevenuta. E spetta innanzitutto ai genitori farlo. Senza scadere in considerazioni retoriche è necessario sottolineare che l’esempio è il primo punto da cui partire. I genitori d’oggi, molto spesso, passano loro stessi ore e ore davanti ai cellulari nel già esiguo tempo che hanno a disposizione dopo la giornata lavorativa per parlare con i figli.

E così la condivisione familiare diventa in realtà un insieme di solitudini. Di connessioni vissute individualmente con l’esterno pur essendo fisicamente in un medesimo interno. I figli hanno bisogno delle parole dei genitori per affrontare le parole in chat. Ecco perché occorre rompere il silenzio delle parole non dette e, al contempo, recuperare la dimensione della parola detta, pronunciata, condivisa. Anche se motivo di scontro o di difficile condivisione. Anche se quella parola fa male o suscita vergogna, dolore, rabbia.

Sarebbe insensato e impossibile pensare di arrivare a controllare sempre i telefonini dei figli. Esistono però tante occasioni, a iniziare dalle ore pre- e post-scolastiche, per ri-cominciare a parlarsi. Guardandosi negli occhi. Stando nella vicinanza autentica che recupera il tono della voce, la postura, lo sguardo, la mimica facciale, tutto quello che manca nelle chat.

È importante recuperare la dimensione della parola parlata negli spazi che si hanno in comune: la sera, durante i week-end, negli spazi pomeridiani dopo le attività ludiche o sportive. I genitori possono e devono ascoltare, affiancare, accompagnare le ferite nascoste nel silenzio dei loro figli. Perché nella relazione autentica risiede la possibilità di contrastare l’assalto dei bulli e di attivare tutte quelle azioni necessarie a scardinare la rete di prepotenza di chi vuole ferire.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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