Vanna Iori

Sull’Unità il mio articolo “Accompagnare i bimbi attraverso le paure del terremoto”

Sull’Unità il mio articolo “Accompagnare i bimbi attraverso le paure del terremoto”
03/11/2016 | Categorie: Infanzia, L'Unità, Media Press, Minori


Giovedì 3 novembre 2016 il quotidiano l’Unità ha pubblicato sulla sua edizione cartacea il mio articolo “Accompagnare i bimbi attraverso le paure del terremoto”.

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Ecco la trascrizione integrale dell’articolo.

Ha abbattuto case, chiese, monumenti, ma anche speranze, attese, la fiducia nel futuro. I danni – materiali e immateriali – del nuovo terremoto sono innumerevoli, ma dietro quei crolli, fisici ed emotivi, si tace spesso un dramma, forse più acuto e doloroso: quello dei bambini.

Anche i loro occhi, come quelli degli adulti, hanno assistito alla furia del terremoto, ma per loro, che ancora hanno tutto da scoprire e costruire, la distruzione ha anticipato la costruzione. Le scosse, la polvere, i volti segnati dei genitori e degli adulti in generale hanno frantumato la dimensione di quotidianità serena dell’infanzia o che tale dovrebbe essere.

Non che l’infanzia sia sempre un’età felice, esente da sentimenti negativi e purtroppo a volte anche da violenze e abusi, ma il terremoto, evento distruttivo e imprevedibile, ha messo in bilico anche la barriera protettiva che per un bambino è costituita dalla sicurezza e dal senso di protezione che proviene dai genitori o dalla famiglia.

Ora mamma e papà devono occuparsi di trovare un tetto, di fare la conta dei danni, e i bambini si ritrovano spettatori inermi di una quotidianità infranta a colpi di dolore e paura. Dolore e paura sono i sentimenti che, dal momento della scossa, durante il difficile percorso della ricostruzione, ci fanno vivere l’esperienza della fragilità e la consapevolezza della nostra vulnerabilità di esseri umani, ci mettono di fronte ai nostri vissuti di terrore, ci mostrano chi siamo, quali sono i nostri limiti, le nostre zone d’ombra, la nostra ricerca continua protezioni e sicurezze.

Ma nell’infanzia tutto questo non può che autoalimentarsi, rispecchiandosi nel volto degli adulti, e può anche giungere a non estinguersi mai. Per questo gli psicologi e i pedagogisti che in queste ore stanno affiancando i bambini sfollati svolgono un ruolo decisivo.

Ascoltare, innanzitutto, perché la paura va esorcizzata attraverso il racconto, che la identifica, le dà nome e la rende meno gravosa. È necessario, poi, valutare le reazioni e i comportamenti di fronte alla paura in modo individuale: ciascuno ha, infatti, un modo unico di vivere e di agire in relazione ai diversi vissuti, alle emozioni e ai sentimenti.

I bambini e i ragazzi, con l’aiuto dei genitori e degli educatori, possono esplorare le diverse possibilità che hanno concretamente di far fronte agli oggetti della paura o alle condizioni di insicurezza. È importante esplicitare loro che ci sono anche risvolti positivi nella paura, che in certe condizioni possono risultare utili nel rapporto con le persone e la realtà.

La paura può insegnare qualcosa. Per esempio che l’imprevedibile può irrompere nella nostra vita, ne fa parte. Ma che esistono anche imprevisti positivi, incontri che aiutano a crescere, ad amare, a gioire.

Fondamentale è poi la creazione e la cura di spazi e tempi adatti per condividere le ansie e socializzarle, anche se fuori dai contesti familiari abitativi. La condivisione e la partecipazione aiutano a rompere le “corazze” difensive. Vedere che anche altri vivono dinamiche simili permette non solo di sentirsi meno soli, ma anche di essere implicitamente più capaci di accettare ciò che si prova, e di conseguenza, di esprimerlo più naturalmente.

La paura si intreccia con il dolore, che assume connotati specifici quando riguarda una tragedia collettiva come l’evento sismico che ha esposto i bambini a immagini di morte e distruzione. Questo deve spingere gli adulti a interrogarsi sul loro ruolo e ad assumere la responsabilità educativa, una responsabilità che chiama in causa anche le relazioni tra le famiglie e con le istituzioni.

La produzione di narrazioni e di immagini, la raccolta e la conservazione di reperti, rappresentano ad esempio la possibilità di dare senso all’accaduto, di non cancellare frammenti di memoria, trasformando il dramma in risorsa, dolorosa ma anche prezioso strumento di rinascita e di crescita individuale e collettiva.

Oltre allo smarrimento e alle perdite, i bambini, stando insieme, possono fare delle cose in gruppo, giocare, studiare, andare a scuola (il più in fretta possibile) per ricostruire frammenti di “normalità” e gettare le basi per un senso di identità collettiva forte.

Ci vorrà molto tempo prima di ricostruire una quotidianità fatta di “abitudine” e di “abituale”, ma questa ricostruzione emotiva passa attraverso un accompagnamento al rinnovato scorrere del tempo. Questo è il sostegno primario che possiamo dare ai ragazzi per ricostruire dalle macerie emotive una capacità di sopravvivere alle ombre lasciate dal terremoto.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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