Vanna Iori

Su HP: “Fermo, la moglie di Emmanuel all’omicida: che ne hai fatto della tua rabbia?”

Su HP: “Fermo, la moglie di Emmanuel all’omicida: che ne hai fatto della tua rabbia?”
08/07/2016 | Categorie: Huffington Post, Media Press


Il mio nuovo articolo uscito oggi, venerdì 8 luglio 2016, sull’Huffington Post.

 

Vuole andare a trovarlo in carcere, Chinyery, per chiedergli perché l’ha fatto. Perché ha spezzato il suo sogno e, soprattutto, perché ha aggiunto dolore ad altro dolore, scaturito questa volta da un sentimento che l’omicida di suo marito non è stato in grado di gestire: la rabbia. Chissà se Chinvery otterrà una risposta.

Servirebbe anche a noi per capire un po’ di più, per comprendere fino in fondo cosa si cela dietro quel pugno che un 39enne di Fermo ha sferrato nei confronti di Emmanuel Chid Namdi. Un pugno che moralmente ed eticamente raggiunge tutti noi che da oggi dobbiamo ripensare necessariamente a tutto ciò che non ha funzionato nelle politiche d’integrazione, ma che soprattutto ci deve spingere a recuperare umanità, ragione, sentimento e responsabilità, tutti fattori fondamentali per progettare una nuova società.

La storia di Emmanuel si inserisce in un contesto, europeo ed italiano, che registra un aumento delle diseguaglianze sociali. La crisi ha prodotto una crescente e diffusa incertezza economica, determinando un effetto paura tra i cittadini. Chi deve fare i conti con un tenore di vita sempre più basso, soprattutto il ceto medio impoverito, cova in sé un sentimento di rabbia e aspettative frustrate per se stesso e soprattutto per i propri figli.

Su questo piano se ne interseca un altro, che è parallelo e conseguente al primo: l’enorme aumento di flussi migratori verso l’Europa, e in particolar modo verso l’Italia, ha aggiunto reazioni di paura, di chiusura, di ostilità nei confronti di chi viene considerato “diverso” e che pure si conosce poco o addirittura per nulla. Un sentimento che si alimenta a sua volta per le traumatiche esperienze terroristiche messe in atto da Daesh. In questo contesto maturano e si alimentano xenofobie e diffusi sentimenti di rabbia. Rabbia che si mischia alla paura e si traduce progressivamente in rancore.

È sulla dimensione di questi sentimenti che dobbiamo riflettere. Le emozioni e i sentimenti devono scorrere, sono come un fiume. Se noi li teniamo imbrigliati, prima o poi ristagnano, imputridiscono. Se noi, però, come nel caso dell’esplosione d’ira inconsulta, li facciamo tracimare, seminano distruzione attorno come una vera e propria inondazione.

La rabbia non va repressa ma espressa, altrimenti diventa un sentimento che fa male, che corrode. Se impariamo a esprimerla correttamente è quel sentimento che aiuta, per esempio, a far valere i propri diritti, a non subire un’ingiustizia. Quindi è anche un sentimento utile. Ma ciò che conta è porsi l’interrogativo: “Che cosa ne faccio di questa rabbia?”.

Qui siamo chiamati in causa con la nostra responsabilità, con la nostra scelta. Che cosa decidiamo di fare di fronte a quel sentimento che proviamo? Qual è la scelta di comportamento che mettiamo in atto?

In questo senso, allora, la decisione chiama in causa l’etica, che è etica della responsabilità. Quella responsabilità a cui l’omicida di Fermo non ha risposto. Mentre Chinyery aspetta, invano, di conoscere le ragioni.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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