Vanna Iori

La mia interrogazione a risposta in commissione sulla formazione al lavoro dei detenuti

La mia interrogazione a risposta in commissione sulla formazione al lavoro dei detenuti


Il 19 gennaio del 2015 ho presentato un’interrogazione a risposta in commissione (la numero 5-04409) presso la II commissione Giustizia della Camera (indirizzata al Ministero della giustizia) sulla formazione al lavoro dei detenuti.

 

 

Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
la formazione al lavoro dei detenuti e lo svolgimento continuativo e strutturato è uno degli strumenti più potenti per allontanare dalla criminalità, pertanto investendo nel lavoro in carcere si migliorano le condizioni dei detenuti, si determina un risparmio per lo Stato e si favorisce la sicurezza di tutta la società;
nel 2004 il DAP, dipartimento amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia, ha avviato una sperimentazione, con durata prevista di dieci anni, in dieci penitenziari italiani, affidando la gestione delle cucine degli istituti di pena a un gruppo di cooperative (Ecosol a Torino, Divieto di sosta a Ivrea, Campo dei miracoli a Trani, L’Arcolaio a Siracusa, La Città Solidale a Ragusa; Men at Work e Syntax Error a Rebibbia, ABC a Bollate, Pid a Rieti, Giotto a Padova) attraverso le quali i detenuti hanno avuto modo di formarsi professionalmente e lavorare all’interno del carcere, trasformando i cosiddetti lavori domestici svolti a turno negli istituti penitenziari, poco qualificanti e privi di un effetto formativo, professionalizzante ed educativo, in lavori veri e propri, con regolari stipendi allineati ai contratti collettivi nazionali di lavoro;
l’esperienza, che dal 2009 è sovvenzionata non più dal dipartimento amministrazione penitenziaria ma dalla Cassa delle ammende, quale ente del Ministero della giustizia che finanzia i programmi di reinserimento in favore di detenuti, determinò, sin da subito, innegabili vantaggi quali l’incremento della qualità dei pasti e dell’igiene nelle strutture, ma, ancora più importante, centinaia di detenuti ebbero la possibilità di imparare un lavoro tramite periodi di formazione, affiancamento a professionisti, studio e gestione dell’attività con criteri di efficienza e rispetto degli standard, di qualità e sicurezza previsti dalle normative in vigore;
la remunerazione dei detenuti con un regolare stipendio, oltre a rappresentare la congrua retribuzione per l’opera prestata, con le evidenti conseguenze positive sul piano educativo, permetteva agli stessi di pagare il soggiorno in carcere, il sopravvitto, le spese legali, le tasse ed i risarcimenti alle vittime dei reati, con evidente vantaggio per l’intera collettività;
le cooperative coinvolte hanno dunque determinato un risparmio per lo Stato in termini di paghe dei detenuti, spese di mantenimento, acquisto di prodotti e manutenzione delle strutture, ma il guadagno più importante è riscontrabile in termini «trattamentali», ossia nella possibilità di offrire un vero e proprio percorso di responsabilizzazione e riabilitazione grazie all’insegnamento di una professione e alla remunerazione, rendendo possibile un valido reinserimento dei detenuti nella società al termine della pena, sostenendo altresì le famiglie degli stessi e il loro ruolo di genitori e di coniugi;
il successo del progetto è stato tale che nelle medesime carceri, accanto alle mense, sono nati altri reparti di produzione: panettoni a Padova, taralli a Trani e dolci tipici a Siracusa e Ragusa; inoltre l’esito positivo dell’esperienza è certificato dagli stessi direttori delle carceri i quali il 28 luglio 2014, definiscono «oltremodo positiva l’esperienza» in una comunicazione al Ministro della giustizia. «I detenuti assunti dalle cooperative», scrivono i direttori, «hanno avuto modo di sperimentare rapporti lavorativi “veri” che li hanno portati ad acquisire competenze e professionalità decisive per il loro reinserimento sociale»;
anche il dipartimento amministrazione penitenziaria si è dimostrato soddisfatto dei risultati raggiunti e l’ex capo del dipartimento Giovanni Tamburino il 17 marzo 2014, dopo un incontro con i direttori delle dieci carceri, dichiarava: «Bisogna confrontarsi con l’oggettività che danno i direttori, che vedono le cose concrete, pratiche, quotidiane. Il giudizio è fortemente positivo: non si torna indietro, anzi si va avanti»; appariva dunque chiaro l’intento di passare dalla fase sperimentale a un strutturale e di diffondere l’iniziativa anche in altri istituti; la stessa commissione voluta dal Ministro pro tempore Cancellieri giungeva alle medesime conclusioni, sostenendo la necessità di passare dalla fase di sperimentazione alla messa a sistema del servizio;
ben dieci anni di risultati (poiché i dati rilevati nella sperimentazione evidenziano un calo della recidiva dal 70 per cento al 2 per cento) rischierebbero di essere persi, insieme alla possibilità di estendere l’iniziativa su tutto il territorio nazionale, in quanto la sperimentazione scadrà il 15 gennaio 2015, termine prorogato al 31 gennaio del medesimo anno;
è palese come la cessazione dell’esperienza sia controproducente per la qualità del servizio, per la riabilitazione dei detenuti, per la sicurezza sociale e, infine, per le casse dello Stato, in quanto la gestione delle cucine da parte delle cooperative e tramite il lavoro dei dipendenti ha un costo inferiore rispetto ad altre forme di servizio mensa;
anche qualora si sostenesse che la Cassa delle ammende non è finalizzata a finanziare progetti continuativi, rimane comunque di tutta evidenza la necessità di proseguire ed estendere l’esperienza positiva garantendo i necessari finanziamenti pubblici; il ritorno della gestione delle mense in capo al dipartimento amministrazione penitenziaria determinerebbe inoltre una ripresa del lavoro a mercede, inidoneo a formare una professionalità, a riabilitare i detenuti, a ridurre la recidiva e a educare il reo alla cultura del lavoro;
ad oggi sono circa 25 mila i detenuti che hanno svolto lavori domestici nelle carceri con retribuzioni ferme agli anni Novanta e comunque non in linea con i contratti collettivi nazionali di lavoro; non deve essere dimenticato che nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo ha affermato che il detenuto in esecuzione di pena va retribuito come il lavoratore libero; si presenta dunque una concreta possibilità di una condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo; sul punto, anche la corte di appello di Roma si è espressa in tal senso con una sentenza del 25 marzo 2013, condannando il Ministero della giustizia a rifondere a due detenuti le differenze retributive fra quanto percepito come mercede e quanto, invece, previsto dal Ccnl di categoria, l’indennità sostitutiva per le ferie non godute ed il trattamento di fine rapporto –:
se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per rinnovare alle cooperative sociali tuttora operanti l’appalto delle cucine, per preservare così il lavoro dei detenuti negli istituti di pena già coinvolti nella sperimentazione, per estendere tale esperienza positiva anche agli altri istituti di pena del Paese, a fronte degli indubbi vantaggi conseguiti in termini di qualità del servizio, riabilitazione dei detenuti, sicurezza sociale, e risparmio economico, nonché per garantire ai lavoratori detenuti retribuzioni in linea con i contratti collettivi nazionali di lavoro e con quanto affermato dalla giurisprudenza italiana ed europea;
in caso di cessazione, alla scadenza stabilita, del finanziamento da parte della Cassa delle ammende, quali iniziative saranno adottate per la gestione delle cucine negli istituti coinvolti nella sperimentazione, anche al fine di garantire la possibilità ai detenuti coinvolti di continuare a svolgere un lavoro vero e proprio. (5-04409)

 

 

Il 15 gennaio del 2015 ha risposto all’interrogazione il viceministro della giustizia Enrico Costa.

 

 

Nell’ambito del Programma Esecutivo d’Azione (P.E.A.) n. 14 del 2003 è stato approvato un progetto relativo al confezionamento pasti nelle cucine detenuti, che ha progressivamente coinvolto gli istituti penitenziari di Trani, Torino, Roma Rebibbia Nuovo Complesso, Roma Rebibbia (casa di reclusione), Ragusa, Padova, Siracusa, Milano-Bollate, Ivrea e Rieti.
Secondo quanto comunicato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, il progetto prevedeva l’affidamento della gestione dei servizi cucina a cooperative – individuate dalle Direzioni – che provvedevano alla formazione dei detenuti addetti ed alla supervisione nella preparazione dei pasti ed assumevano, secondo i contratti collettivi di categoria, i lavoratori così formati. I termini dell’iniziativa prevedevano che le cooperative ricevessero, a titolo di corrispettivo, un «gettone» giornaliero per ciascun detenuto presente in istituto, impiegando materie prime fornite dalla stessa Amministrazione.
Obiettivo del P.E.A. era di consentire lo sviluppo di attività collaterali di catering e di produzione di alimenti da forno, con conseguente espansione imprenditoriale delle attività delle cooperative cosicché le stesse, ampliando il volume di affari, potessero, da un lato, incrementare il numero dei detenuti lavoranti e, dall’altro, procedere ad una progressiva riduzione del «gettone» giornaliero.
Di fatto, nel 2009, alla scadenza del progetto, il finanziamento della iniziativa fu trasferito alla Cassa delle Ammende, senza che vi fosse stata la prevista riduzione del gettone pro capite, nonostante l’avvio di alcune attività di catering e di pasticceria.
Il Dipartimento ha comunicato altresì che, con deliberazione del 18 dicembre 2013, il Consiglio di Amministrazione della Cassa delle Ammende revocò il finanziamento della iniziativa, sulla scorta della normativa che disciplina le finalità e gli interventi della Cassa e tenuto conto che la stessa può finanziare soltanto «progetti dell’Amministrazione Penitenziaria o programmi che tendono a favorire il reinserimento» mediante erogazioni di contributi limitati nel tempo e per progetti che, in prospettiva, prevedano una reale concreta possibilità di continuità autonoma, non assistita da ulteriori sovvenzioni.
Secondo tale rappresentazione, il gettone giornaliero corrisposto per il confezionamento pasti (pari ad euro 1,50 + IVA al giorno per singolo detenuto) ha, invece, rappresentato il mero corrispettivo di un servizio e si è rivelato inidoneo all’avvio di progettualità o programmi finalizzati ad alimentare commesse esterne in grado di ampliare il volume di affari ed il numero dei detenuti lavoranti.
Inoltre, il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria – presso il quale è per legge istituito l’autonomo ente Cassa delle Ammende – comunicava di ritenere che l’ente predetto non avrebbe potuto continuare a svolgere il ruolo di finanziatore primario in favore di soli dieci istituti, impiegando gran parte delle proprie risorse ed a fronte di limitate entrate annuali.
Il mancato ulteriore rinnovo del progetto – la cui scadenza era stata peraltro più volte prorogata – appare, pertanto, scelta degli organi di amministrazione attiva dettata da obiettivi ostacoli normativi.
Del resto, anche l’analisi dei costi ha evidenziato – secondo quanto riferito – una certa variabilità da istituto ad istituto e, comunque, una loro maggiore onerosità rispetto alla gestione diretta del servizio, praticata generalmente in tutti gli altri istituti penitenziari.
Dai dati pervenuti dalla Cassa delle Ammende, risulta, inoltre, che il numero complessivo di lavoratori detenuti impiegati a tempo pieno nell’anno 2014 nell’ambito del progetto ammonta a 116 unità, mentre il numero dei lavoratori detenuti impiegati in servizi connessi ammonta a 53 unità.
Alla luce delle evidenziate motivazioni, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria – preso atto della cessazione della erogazione del finanziamento da parte della Cassa delle Ammende – ha comunicato che tutti gli istituti interessati al progetto hanno assicurato di poter proseguire il servizio in economia, con affidamento diretto e con impiego di egual numero di detenuti, ed hanno in tal senso già da tempo predisposto le necessarie misure organizzative.
Tale soluzione – secondo quanto riferito dal Dipartimento, che ha opportunamente sensibilizzato i Provveditorati Regionali ad adottare ogni iniziativa e controllo sul passaggio di gestione – garantirà la regolare prosecuzione del servizio, negli stessi termini in cui viene assicurato in tutti gli istituti penitenziari della Repubblica.
Al fine di non disperdere il prezioso patrimonio conoscitivo sviluppato nel corso del progetto, inoltre, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha intrapreso, all’esito di opportuna interlocuzione con il Ministro, iniziative finalizzate a verificare la possibilità di prosecuzione del rapporto di collaborazione con le cooperative esclusivamente per attività diverse dal confezionamento dei pasti.
In generale, il Ministro della Giustizia, sin dall’inizio del suo incarico di Governo, ha sempre riservato grande attenzione alla questione del lavoro penitenziario, considerandolo quale strumento indispensabile per garantire un modello detentivo realmente finalizzato al compimento dei percorsi individuali di risocializzazione sociale.
A tale ottica si ispira la recente emanazione, di concerto con i Ministri dell’Economia e del Lavoro, del decreto ministeriale 24 luglio 2014, n. 148, concernente il «Regolamento recante sgravi fiscali e sgravi contributivi a favore di imprese che assumono lavoratori detenuti», che assicura oltre 30 milioni di euro di sgravi fiscali e contributivi a favore delle imprese che vorranno investire nel lavoro penitenziario, assumendo lavoratori detenuti per periodi non inferiori a trenta giorni.
Il Ministero sta comunque promuovendo specifiche iniziative finalizzate ad incentivare ulteriormente le opportunità di accesso al lavoro in ambito carcerario anche verificando la possibilità di riforma organica della normativa in materia.




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carcere

Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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