Vanna Iori

La mia interrogazione a risposta in commissione sulle donne vittime di violenza in gravidanza

La mia interrogazione a risposta in commissione sulle donne vittime di violenza in gravidanza


Il 4 ottobre del 2013 ho presentato un’interrogazione (la numero 5-01137) a risposta in XII commissione Affari sociali della Camera indirizzata al Ministero della salute per chiedere di offrire una migliore assistenza alle donne vittime di violenza in gravidanza.

 

 

Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
la violenza femminile è un fenomeno sempre più esteso e, ancor più grave, una donna su quattro è tuttora vittima di violenza in gravidanza; la violenza domestica è la seconda causa di morte in questa fase della vita femminile; tutta la letteratura medica internazionale attesta lo stretto legame tra gravidanza e violenza domestica; la «gravidanza violenta» è da considerare a tutti gli effetti «gravidanza a rischio»;
tutte le istituzioni concordano sull’urgenza di fermare una violenza che tende a replicarsi, una malattia sociale che provoca ripercussioni intergenerazionali con conseguenze negative per la salute, le crescita e il benessere dei figli, ma che ha ripercussioni sociali ed economiche sull’intero sistema sociale;
la maggior parte dei dati disponibili sulla violenza in gravidanza proviene dagli USA dove già da tempo esiste un’attenta sorveglianza sui danni a breve, medio e lungo termine sulla salute fisica, mentale, sessuale delle donne e sui figli (Women Women’s Health Development Development, Family and Reproductive Health, 1996, Violence Against Against., WHO Consultation);
in Italia il fenomeno è ancora scarsamente monitorato; secondo i dati Istat pubblicati nel documento «La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia» più dell’11 per cento delle donne subisce violenza dal partner in gravidanza; la medesima indagine mostra che il 13,6 per cento di questi abusi inizia in gravidanza; nel 52,5 per cento dei casi la violenza perpetrata in precedenza permane immutata durante la gravidanza, mentre per il 17,2 per cento aumenta (e solo per il 15,9 per cento diminuisce);
secondo l’Associazione ostetrici ginecologi ospedalieri italiani (AOGOI) per le donne di età compresa tra i 15 e i 44 anni, la violenza domestica è una delle principali cause di morte in gravidanza, seconda solo all’emorragia; il 30 per cento dei maltrattamenti ha inizio proprio in gravidanza, specie nel secondo e terzo trimestre; un partner «potenzialmente abusante», inizia ad esercitare violenza durante la gravidanza; il partner già abusante aumenta le violenze sulla donna: il 69 per cento delle donne maltrattate prima della gravidanza continua a subire maltrattamenti e nel 13 per cento dei casi si assiste a un intensificarsi e aggravarsi degli episodi (Claudio Mencacci, direttore dipartimento di neuroscienze A.O. Fatebenefratelli – oftalmico, Milano e presidente della Società italiana di psichiatria); la violenza in gravidanza può spingersi fino all’omicidio;
nelle madri aumentano i rischi di aborto, scarso aumento di peso in gravidanza, parti pretermine (6,5 per cento), rottura d’utero, distacco di placenta, infezioni genito-urinarie, traumatismi (gli esiti da trauma sono la seconda causa di morte), oltre a disturbi psichici, depressione, abuso di fumo (32 per cento vs 12 per cento), sostanze stupefacenti e alcool, tentativi di suicidio, dissociazione durante le procedure mediche;
ogni volta che una madre viene abusata anche i nascituri ne soffrono; aumentano le nascite di feti morti le nascite di bambini con basso peso neonatale; si modificano alcune aree cerebrali (insula, amigdala); i bambini esposti a violenza domestica mostrano una erosione del telomero che è indice di invecchiamento cellulare (come se fossero bambini più vecchi di 5 anni) (McCrory Current Biology, Volume 21, Issue 23, R947-R948, 2011);
le gravi conseguenze nei figli sono riscontrabili dalla fase fetale all’età adulta con un 50 per cento di probabilità in più di abusare di alcol e droga, manifesta depressione, difficoltà scolastiche, un rischio 6 volte maggiore di suicidio, più alte probabilità di comportamenti delinquenziali e di essere a loro volta oggetto o soggetto di violenza (V. Dubini, 2008); inoltre la metà dei mariti violenti lo è anche con i figli; il 60 per cento delle mamme di bambini ricoverati per maltrattamento aveva subito violenza dal partner; i figli di uomini violenti hanno una probabilità 6 volte maggiore rispetto agli altri di diventare a loro volta violenti;
la violenza in gravidanza è un problema globale che solleva questioni riguardanti i servizi sanitari nazionali, la parità dei sessi e i diritti umani; i danni si ripercuotono sull’intero tessuto sociale; la risposta è innanzitutto educativa e formativa, ma i danni sulla salute fisica e psichica che la violenza determina sono prevenibili se si attivano risorse e soluzioni innovative in grado di fermare questo fenomeno;
l’approvazione rapida e unanime da parte del Parlamento della convenzione di Istanbul, è stato il primo atto della XVII legislatura e, al fine di renderla applicabile, è stato approvato il decreto-legge 93 del 2013 che prevede espressamente, tra le aggravanti, la violenza in gravidanza; il Ministero dell’Interno ha istituito l’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori (OSCAD), impegnandosi nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere; è stata recentemente istituita una task force interministeriale per fornire una risposta di sistema per rendere gli interventi esistenti più efficaci e per diffondere una cultura educativa e formativa di prevenzione;
l’Osservatorio nazionale sulla salute della donna (O.N.Da) ha realizzato una guida per operatori sanitari, Donne e violenza domestica: diamo voce al silenzio già diffusa negli ospedali lombardi con i «bollini rosa» in 62 strutture premiate per i servizi dedicati alla violenza e che hanno un protocollo di pronto soccorso violenza per la formazione degli operatori sanitari; diversi ospedali che hanno strutturato servizi di assistenza sanitaria, psicologica e sociale;
per combattere la violenza domestica subita prima, durante e dopo la gravidanza è necessario un processo formativo degli operatori professionali, delle strutture sanitarie coinvolte, un processo politico delle istituzioni che devono pianificare, organizzare e facilitare gli interventi di ciascun operatore; un ruolo importante spetta al medico di assistenza primaria, al ginecologo, al pediatra di libera scelta, ma essi devono interagire con altre figure professionali, enti e associazioni del terzo settore, centri anti-violenza –:
se il Ministro ritenga opportuno adottare le linee guida indicate dall’organizzazione mondiale della sanità, investendo sulla prevenzione affinché il servizio sanitario nazionale possa offrire una migliore assistenza alle donne vittime di violenza in gravidanza e promuovere secondo le raccomandazioni dell’organizzazione mondiale della sanità, ad alcune pratiche indispensabili, quali:
a) formazione obbligatoria del personale sanitario nell’aiutare le vittime di abusi, nel riconoscere le donne che sono a rischio e nel fornire interventi adeguati;
b) strategie di prevenzione e cura verso la gravide che subiscono violenza: identificazione delle vittime nella fase prenatale, perinatale e postnatale; cure cliniche; interventi negli ambulatori di ginecologia; corsi preparto; visite ginecologiche (40 giorni); percorsi ad hoc nei consultori e nelle associazioni femminili. (5-01137)




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *