Vanna Iori

Non sempre il carcere è la soluzione: sicurezza sociale, giustizia certa e senso della pena

Non sempre il carcere è la soluzione: sicurezza sociale, giustizia certa e senso della pena


Il mio editoriale pubblicato il 29 settembre del 2015 sulla Gazzetta di Reggio.

 

Quale senso ha oggi l’art. 27 della Costituzione dove si afferma che le pene “devono tendere alla rieducazione del condannato”? Certamente la preoccupazione che gli autori di reati vengano davvero puntiti è pienamente fondata. Così come il crescente senso di insicurezza urbana e le paure nei confronti di chi è percepito come potenzialmente “pericoloso”. Ma la soluzione è davvero soltanto quella pena dietro le sbarre spesso invocata con veemenza punitiva (“buttare via la chiave”, aggiungere pene corporali etc…)?

Non basta scagliarsi e chiedere più carcerazione. Servono risposte efficaci e concrete alla sicurezza sociale. E per trovarle occorre andare oltre l’atteggiamento emotivo e superficiale del diffuso populismo giustizialista, alimentato oggi prevalentemente delle paure del clandestino. Su chi specula politicamente su quelle paure non mi soffermo nemmeno, ma questa ondata migratoria biblica non cesserà a breve e non la risolveremo con un aumento delle pene detentive.

Meno carcere non significa più impunità. Questo deve essere ben chiaro. Perché è da qui che nascono i sentimenti di ingiustizia e di insicurezza dei cittadini. Significa invece più certezza della pena e di una giustizia penale giusta, rapida e efficace. Significa aumento delle pene alternative al carcere, a partire dalla riparazione del danno.

Non c’è bisogno di scomodare Beccaria per comprendere che la funzione della pena non può essere solo punitiva o addirittura “vendicativa”. Le indicazioni della Corte di Strasburgo suggeriscono meno pena detentiva; recepite dalla Corte Costituzionale, confermano l’indicazione di un minore ricorso alla custodia cautelare anche per evitare il fenomeno delle cosiddette “porte girevoli”, ossia l’entrata-uscita di detenuti in carcere nel giro di pochi giorni.

Meno carcere, dunque, non solo per le condizioni materiali di sovraffollamento che, ancorché attenuate dopo il cosiddetto “svuotacarceri”, rimangono un problema, ma anche perché l’aumento delle pene detentive non funge da deterrente. Negli Stati Uniti, dove esiste persino la pena di morte, possiamo forse registrare una minore violenza?

Quindi, di fatto, la carcerazione può placare il diffuso e comprensibile desiderio di castigo e di punizione affinché chi compie un reato (indipendentemente dalla gravità, dalla reiterazione, dalla pericolosità sociale o altro) sia allontanato dalla società, segregato e recluso per evitare che torni a delinquere. Ma “sorvegliare e punire” non crea le condizioni per una maggiore sicurezza urbana.

Si deve innanzitutto intervenire sui problemi della giustizia penale, sulla lentezza del processo per renderlo più veloce, sull’organizzazione inefficiente, sulla mancanza di risorse nelle procure più in difficoltà (ricordiamo che nell’ultima legge di stabilità sono stati assegnati 50 milioni di euro al comparto giustizia e sono già state approvate 3.000 nuove assunzioni).

Da inizio legislatura sono stati molti gli interventi in materia di giustizia che hanno avuto lo scopo di snellire e riorganizzare la giustizia. Per esempio la messa alla prova e la particolare tenuità del fatto hanno modificato l’istituto della custodia cautelare e della prescrizione (con risultati positivi). Così come la riparazione del danno subito dalla vittima mediante restituzione o risarcimento ed eliminazione delle conseguenze del reato potrà estinguere il reato.

E ancora, il ddl 2978 appena approvato alla Camera interviene, tra l’altro, sui reati di strada, sulla durata ragionevole dei processi penali e sulla delega al governo, con precise linee guida, per le modifiche all’ordinamento penitenziario (a 40 anni dalla riforma del 1975). Si ribadisce cioè l’effettività rieducativa della pena, indicando il ricorso alle misure alternative (sempre escludendo i reati di particolare pericolosità sociale), la valorizzazione del lavoro in carcere in ogni sua forma, le attività di giustizia riparativa, il ruolo del volontariato per il recupero alla convivenza civile, e gli orientamenti specifici per i minorenni colpevoli di reati, nell’ottica di socializzazione, responsabilizzazione e promozione della persona.

Forse siamo ancora lontani dall’attuazione dell’art. 27, ma credo che questi strumenti possano favorire principalmente il rapporto tra l’interno del carcere e il mondo esterno, passo decisivo per attenuare le caratteristiche di istituzione totale e per superare una visione soltanto punitiva a vantaggio della rieducazione, affinché si possono davvero ridurre le recidive.

Non sarà il giustizialismo populista a garantire più sicurezza ai cittadini, ma una giustizia vera, fatta di tempi certi nei processi, di certezza della pena, di consapevolezza del senso della pena.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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