Vanna Iori

Dietro le sbarre del carcere c’è una cattiva madre?

Dietro le sbarre del carcere c’è una cattiva madre?
17/08/2015 | Categorie: Carcere, Huffington Post, Media Press, Minori


Il mio nuovo articolo uscito oggi sull’Huffington Post.

 

Vivere la maternità è un diritto, così come lo è “il superiore interesse dei bambini”. E quando questi diritti confliggono? La sottrazione immediata del neonato a Martina, la ragazza della “coppia dell’acido”, pone numerosi interrogativi.‎ Certamente devono sussistere motivazioni estreme per compiere la scelta, disumana, di non lasciare neppure vedere alla madre (definita bordeline) il proprio bambino: rischi di infanticidio, per esempio, o un’incapacità manifesta ad esercitare la maternità.

Ma questa decisione riapre, da un lato, tutti gli aspetti legati alla “madre cattiva”, al lato oscuro della maternità, al “bambino della notte”, alle paure e alle ambivalenze che accompagnano il “mettere al mondo”, evento ordinario e pur sempre misterioso e straordinario. Dall’altro riapre, in tutta la sua drammaticità, la questione della maternità in carcere a cui è negato il riconoscimento di quelli che Erving Goffmandefinisce “diritti sottili”, ossia quelli a rischio di invisibilità, come appunto i legami affettivi che coinvolgono i figli.

Dove si colloca il confine tra la pericolosità sociale di una madre che sta scontando la pena per il reato commesso e la sua pericolosità/incapacità di essere madre? Probabilmente la scelta intende tutelare il bambino da una inadeguatezza della madre di “far posto”, accogliere, farsi “concava”, non solo nel ventre, per fare spazio al figlio ma anche nella mente e nel cuore. Ma come essere certi che proprio questa nuova apertura non potesse essere anche un’occasione di rinascita per Martina e di possibilità di guardare ad un futuro diverso, con occhi di madre?

Qualunque sia la soluzione finale, dietro questo caso possiamo intravedere, in controluce, la drammatica questione della presenza di bambini che nascono e crescono dietro le sbarre, situazione indegna di un Paese civile. Coltivare un rapporto educativo e affettivo con i figli durante la carcerazione, esercitando la genitorialità in condizione di reclusione, esige alcune condizioni che consentano le necessarie esigenze di sicurezza ma anche lo sviluppo sereno dei bambini e le adeguate cure materne. Questo il nodo irrisolto che ritorna a galla.

Voglio ricordare che la legge 40/2001 introduceva misure alternative alla detenzione finalizzate a tutelare la cura del rapporto tra madri detenute e figli minori, misure che permangono ampiamente disattese, anche a causa del personale sottodimensionato e impreparato. Così come manca tuttora la realizzazione completa degli istituti a custodia attenuata per madri detenute (Icam) previsti dal decreto attuativo della legge 62/2011. Queste carenze comportano ad oggi la crescita e la permanenza dei figli all’interno del carcere, con la madre detenuta, costringendo i bambini, incolpevoli, alla detenzione e alle regole della vita carceraria, alla permanenza in ambienti non idonei e sovraffollati nonché al costante contatto con soggetti adulti estranei e operatori inadeguati in quanto privi di formazione pedagogica. Se questa è l’alternativa non risponde certo a una reala tutela dell’interesse superiore dei bambini che invece potrebbe essere al meglio attuata, compatibilmente con l’esigenza di sicurezza sociale, tramite case-famiglia protette, con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze educative e psicofisiche di crescita armonica dei bambini, ma anche di accompagnamento delle madri nei percorsi di crescita genitoriale e di educazione alla maternità, poiché genitori non si nasce, ma si diventa. Dentro come fuori dal carcere.




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maternità

Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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