Vanna Iori

La mia mozione a favore della genitorialità in carcere per madri e padri detenuti

La mia mozione a favore della genitorialità in carcere per madri e padri detenuti


Il 18 giugno del 2014 ho presentato la mozione Iori 1-00510 contro il fenomeno delle mutilazioni genitali femminili in Italia.

 

 

La Camera,
premesso che:
poter vivere la paternità e la maternità è un diritto, così come è un diritto per i bambini conservare i legami genitoriali essenziali per la loro crescita e lo sviluppo. Ma la presenza di bambini dietro le sbarre non è degna di un Paese civile. E coltivare un rapporto educativo ed affettivo con i figli durante la carcerazione, esercitando la genitorialità in condizione di reclusione, esige alcune condizioni materiali che consentano innanzitutto di mantenere una frequentazione reciproca e non disperdano i legami familiari;
il rapporto dell’associazione «Antigone», presentato il 20 dicembre 2013, specifica che in Italia vi sono 16 asili nido penitenziari in cui sono recluse 51 madri con 52 bambini, ma secondo i dati del Ministero della giustizia, dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e dell’associazione Bambinisenzasbarre Onlus, firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, sono ben centomila, fra bambini ed adolescenti, i minori che entrano in carcere per incontrare i genitori;
è di tutta evidenza pedagogica e psicologica che le necessarie esigenze di sicurezza che presiedono le strutture carcerarie e ne regolano l’organizzazione non possono in alcun modo corrispondere allo sviluppo sereno dei bambini ed alle adeguate cure materne né permettere una continuità del rapporto educativo e genitoriale;
la tutela della maternità e dell’infanzia (sancita dall’articolo 31 della Costituzione) impone di sottrarre i bambini all’esperienza di crescere in una struttura carceraria. La legge 40 del 2001 introduceva misure alternative alla detenzione finalizzate a tutelare la cura del rapporto tra detenute e figli minori, misure che permangono ampiamente disattese. La genitorialità per i padri e le madri detenuti è normata da indicazioni su come devono essere preservate e protette le relazioni con i figli e i familiari. La legge 354 del 1975, all’articolo 28, afferma che «particolare cura è dedicata a mantenere, migliorare o ristabilire le relazioni dei detenuti e degli internati con le famiglie» e, all’articolo 45, ribadisce che «il trattamento dei detenuti e degli internati è integrato da un’azione di assistenza alle loro famiglie. Tale azione è rivolta anche a conservare e migliorare le relazioni dei soggetti con i familiari e a rimuovere le difficoltà che possono ostacolare il reinserimento sociale»;
questa normativa appare oggi disattesa e quasi utopica, a fronte del personale sottodimensionato e dell’impossibilità di soddisfare le richieste di contatti con le famiglie. Per le detenute e i detenuti stranieri ciò è ancora più difficile e possono trascorrere mesi o anni prima che essi riescano ad attivare contatti con le famiglie;
alla genitorialità in carcere è negato il riconoscimento di quelli che Erving Goffman definisce «diritti sottili», ossia quelli, a rischio di invisibilità, come appunto i legami affettivi che coinvolgono i familiari e soprattutto i figli;
l’associazione Eurochips (European Committee for Children of Imprisoned Parents) indica che il 30 per cento dei bambini figli di detenuti sviluppa comportamenti devianti per mancanza di interventi e risposte corretti. Eurochips afferma, inoltre che la possibilità per i genitori detenuti di vedere con regolarità i figli, e mantenere rapporti significativi con loro, abbassa del 40 per cento il rischio di provvedimenti disciplinari in carcere;
il Ministero della giustizia, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e l’associazione Bambinisenzasbarre Onlus, quali firmatari della «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, condividendo le medesime preoccupazioni, hanno convenuto, all’articolo 1, di detto atto l’opportunità di «tenere in considerazione i diritti e le esigenze dei figli di minore età della persona arrestata o fermata che conservi la responsabilità genitoriale, nel momento della decisione dell’eventuale misura cautelare cui sottoporla, dando priorità, laddove possibile, a misure alternative alla custodia cautelare in carcere» e, all’articolo 3, la necessità di individuare, nei confronti di genitori con figli di minore età, misure di attuazione della pena che tengano conto anche del superiore interesse di questi ultimi;
nello specifico caso di minorenni con madri detenute, la tutela dell’interesse superiore del fanciullo può essere al meglio attuata, compatibilmente con l’esigenza di sicurezza sociale, tramite lo strumento delle case-famiglia protette, strutture che devono essere realizzate all’esterno degli istituti penitenziari e organizzate con caratteristiche che tengano conto in modo adeguato delle esigenze psicofisiche di crescita armonica dei bambini, ispirate a criteri prioritariamente desunti dalla prospettiva educativa;
il momento e le modalità del colloquio sono poi aspetti particolarmente urgenti e drammatici stante il particolare significato sul piano degli affetti e delle relazioni che questo comporta. A volte atteso per settimane o mesi, avviene poi in ambienti che sono ben lontani da quei «locali interni senza mezzi divisori o in spazi all’aperto a ciò destinati», stabiliti dal decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000, articolo 37. È noto infatti che i colloqui avvengono generalmente nella confusione di un parlare, spesso urlante, di pianti, in presenza di altri detenuti sconosciuti, dove anche un abbraccio tra padri/madri e figli diventa difficile o imbarazzante per entrambi;
inoltre, l’allontanamento improvviso dei figli dai genitori è traumatico per entrambi, così come la chiusura forzata dei figli piccoli che, incolpevoli, crescono nei luoghi di pena;
la responsabilità genitoriale, che non deve interrompersi durante la detenzione, deve essere incentivata rispondendo a criteri psicopedagogici, salvaguardando le modalità di realizzazione degli incontri attraverso un accompagnamento educativo e la predisposizione di spazi aventi finalità socio-educativa nei quali sia garantita, tramite operatori specializzati, ospitalità alle famiglie, circostanza per un’attesa dignitosa, nonché aree di socializzazione e di gioco per i bambini (quale, ad esempio, lo «spazio giallo» come denominato da Bambinisenzasbarre Onlus, già realtà nell’esperienza pilota di San Vittore e di Bollate);
i colloqui dei figli con madri e padri detenuti devono svolgersi in locali idonei, al fine di evitare la permanenza di bambini e ragazzi in ambienti caotici, sovraffollati e promiscui. Per ridurre l’impatto del carcere sui bambini sono indispensabili luoghi che rispettino la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori e possibilmente anche all’aperto, consentendo al detenuto di svolgere attività educative e ludiche con il proprio figlio;
è poi auspicabile un potenziamento della normativa già prevista all’articolo 30 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 relativamente ai permessi di visita al minorenne infermo. L’esigenza di tutela del fanciullo rende importante attribuire alla madre detenuta il diritto ad assistere il proprio figlio nei momenti più importanti della vita. Vi sono invece momenti, come la malattia grave o il ricovero ospedaliero, in cui il contatto viene reso indispensabile. La vicinanza ai figli è decisiva per alleviare il senso di solitudine nella struttura ospedaliera e le ansie legate alla malattia o al pericolo di perdere la vita. Per questo occorrerebbe consentire alla madre di bambini di età minore di dieci anni, in pericolo di vita, inviati al pronto soccorso o ricoverati in ospedale, di prestare assistenza, accompagnandoli e permanendo presso la struttura per l’intera durata del ricovero, essendo disumano ed inimmaginabile che il bambino possa affrontare tali situazioni senza l’assistenza della propria madre;
è infine necessario preservare il minorenne da ogni sanzione che indirettamente possa colpirlo pregiudicandone la serenità emotiva ed il corretto sviluppo psicofisico, anche permettendo la revocabilità del decreto di espulsione disposta in corso o a fine pena, nonché come misura alternativa o sostitutiva della stessa, nei confronti della madre con figli minori di anni dieci,

impegna il Governo:

ad adottare iniziative immediate, normative o di altra natura, affinché quanto contenuto nella «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014 trovi concreta realizzazione e applicazione;
a perseguire l’obiettivo del definitivo superamento del dramma dei bambini cresciuti in carcere tramite lo strumento delle case famiglia protette, anche attraverso le risorse e le opportunità offerte dal privato sociale, assumendo iniziative per l’estensione del beneficio dell’esecuzione della custodia cautelare e della detenzione in casa famiglia protetta, già previsto dalla legge 62 del 2011, alla madre di prole fino a dieci anni di età, con possibilità per il giudice di estendere l’applicazione anche oltre i dieci anni;
a realizzare, all’esterno degli istituti penitenziari, case famiglia protette con struttura ed organizzazione idonee alle particolari esigenze psicofisiche dell’infanzia, fornite di sistemi di controllo non visibili o percepibili del minorenne e dotate, in prevalenza, di personale in possesso di competenze pedagogiche ed educative per l’infanzia con specifico riferimento alle realtà detentive;
ad assumere iniziative per consentire alla madre detenuta di essere presente nei momenti più importanti della vita dei figli ed in caso di estremo bisogno degli stessi e in particolare, nel caso di ricovero di figlio minore di anni dieci, garantire alla madre internata o detenuta, tramite un provvedimento adottato d’urgenza, la possibilità di accompagnare il bambino presso la struttura ospedaliera e soggiornarvi per tutto il periodo del ricovero;
conformemente a quanto previsto dalla «Carta dei figli dei genitori detenuti» del 21 marzo 2014, a tutelare la genitorialità e l’affettività negli istituti di pena nonché a permettere un contatto diretto di madri e padri detenuti o internati con i figli minorenni già dalla prima settimana dopo l’arresto, nonché a garantire la regolarità e la qualità dei colloqui attraverso appositi spazi con finalità socio-educative dove i bambini possano sentirsi accolti e riconosciuti e nei quali sia garantita la presenza di almeno un educatore con funzioni ai presa in carico della famiglia, realizzazione di attività di attesa e ludiche per i bambini, preparazione al colloquio nonché osservazione delle dinamiche comportamentali al fine di fornire risposte educative;
ad assumere iniziative per permettere lo svolgimento di colloqui personali e telefonici, fra genitori detenuti e figli, anche fuori dai limiti temporali stabiliti dagli articoli 37 e 39 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, in orari o luoghi diversi da quelli comunemente utilizzati per gli incontri fra soggetti maggiorenni nonché in locali tali da rispettare la sensibilità dei minorenni, senza mezzi divisori o all’aperto;
nel rispetto della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176, e contro ogni discriminazione nei confronti del minorenne straniero, figlio di chi ha commesso un reato, ad adottare le opportune iniziative normative o di altra natura al fine di permettere la revocabilità del decreto di espulsione nell’ipotesi in cui quest’ultima sia disposta o debba essere eseguita nel corso o al termine dell’espiazione di una pena detentiva, o come misura alternativa o sostitutiva della pena, nei confronti di madre con figli minori di anni dieci il cui corretto sviluppo psicofisico verrebbe pregiudicato dall’allontanamento dal territorio italiano e dal tessuto sociale di riferimento.




Vanna Iori

Docente universitaria e Senatrice del Partito Democratico

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